Casa Moresc. La Grande Guerra fu combattuta qui

L’Adamello è stato uno dei principali teatri della Grande Guerra di cui celebriamo il primo secolo dell’intervento dell’Italia nel conflitto iniziato l’anno precedente. A Spiazzo un Museo della Grande Guerra rievoca quel dramma con reperti tratti direttamente dai ghiacciai della montagna. Da visitare. A Fisto, frazione di Spiazzo, lungo la Val Rendena, nel Trentino, tra l’Adamello e il Brenta, una antica costruzione del 1500 è stata trasformata in albergo con ristorante, Casa Moresc: 13 camere, ristorante Osteria al Vecchio Sarca, certificata Tipica Trattoria Trentina, sala riunioni, ampio parcheggio esterno. Roberto Quadrini e Roberta Salvaterra sono i due patron dell’albergo. Roberta è la regina della cucina
L’Adamello è stato uno dei principali teatri della Grande Guerra di cui celebriamo il primo secolo dell’intervento dell’Italia nel conflitto iniziato l’anno precedente. A Spiazzo un Museo della Grande Guerra rievoca quel dramma con reperti tratti direttamente dai ghiacciai della montagna. Da visitare. A Fisto, frazione di Spiazzo, lungo la Val Rendena, nel Trentino, tra l’Adamello e il Brenta, una antica costruzione del 1500 è stata trasformata in albergo con ristorante, Casa Moresc: 13 camere, ristorante Osteria al Vecchio Sarca, certificata Tipica Trattoria Trentina, sala riunioni, ampio parcheggio esterno. Roberto Quadrini e Roberta Salvaterra sono i due patron dell’albergo. Roberta è la regina della cucina

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??????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????L’Adamello è un massiccio montuoso che si estende tra Trentino e Lombardia. Nel 1860 si ritrovò a far parte del confine tra il giovane regno d’Italia e l’antico impero austroungarico. L’anno precedente, i Savoia avevano convinto l’imperatore dei Francesi, Napoleone III, a intervenire in Italia con un formidabile esercito di 100.000 uomini grazie al quale avevano costretto gli austroungarici a cedere la Lombardia dopo alcune sanguinose battaglie spostando fin qui il confine che in precedenza era segnato dal corso del fiume Ticino, assai più a Occidente. Soprattutto, avevano costretto gli austriaci ad assistere impotenti all’annessione del resto della penisola (con la sola eccezione della città di Roma, rimasta al papa) l’anno successivo. Il 17 marzo del 1861 Vittorio Emanuele II, già re di Sardegna con la stessa denominazione, divenne re d’Italia per annessione della seconda al primo. Diverse dinastie vennero eliminate con un solo tratto di penna. Così è la Storia. Ringraziati i Francesi con la donazione della città di Nizza e del territorio della Savoia (con la parte occidentale del Monte Bianco), gli italiani ripeterono lo stesso gioco nel 1866 quando si allearono con i Prussiani per allargare ulteriormente i loro domini verso Est. A Sadowa, in Polonia, i Prussiani disfecero un intero esercito austriaco. Gli sconfitti furono espulsi dalla Germania, dove avevano avuto un ruolo centrale con la dinastia degli Asburgo che per secoli aveva controllato la corona del Sacro romano impero (risalente addirittura a Carlo Magno che l’aveva indossata nel lontano Natale dell’anno 800). I Savoia, che in Italia le avevano buscate a Bezzecca, estesero i loro domini verso Est aggiudicandosi il Veneto con Venezia e il Friuli.
Nel 1914 scoppiò la prima guerra mondiale, scatenata dagli improvvidi austroungarici che avevano scelto di estendere i loro dominii nei Balcani finendo con lo scontrarsi con i Russi, che appoggiavano i Serbi ma soprattutto intendevano prima o poi affacciarsi sui Dardanelli conquistando a loro volta la Turchia. Fu un verminaio politico che sarebbe costato decine di milioni di morti e ben due guerre mondiali in soli vent’anni. Sia gli Asburgo che i Romanov, gli zar di tutte le Russie, vi avrebbero incontrato la loro nemesi.
Durante il primo anno di guerra gli Italiani stettero a guardare, rispettando il trattato voluto e imposto dal cancelliere di ferro della Germania, von Bismarck, che fin dal 1882 li legava ad Austria e Germania, permettendo la neutralità in quanto la guerra non era stata dichiarata per contrastare l’aggressione di uno degli alleati. La Germania era la più forte ma fallì nel tentativo di vincere la guerra nel primo mese travolgendo i francesi prendendoli alle spalle con l’invasione del Belgio. Gli austroungarici a loro volta erano stati travolti dai Russi in Galizia, nell’odierna Polonia, con oltre 300.000 prigionieri che presero la strada della Siberia. Gli Italiani a quel punto ribaltarono la frittata alleandosi con Francia, Inghilterra e Russia dichiarando guerra agli Asburgo con l’intento di conquistare Trento e Trieste, come si disse, per completare la liberazione della penisola nella sua parte di lingua italiana. Non è andata proprio così come possono testimoniare gli Italiani di lingua madre tedesca del Sud Tirolo e avrebbero potuto farlo anche gli Italiani di lingua madre slava della Dalmazia, se non avessimo perso la seconda guerra mondiale. Ma questa è tutta un’altra storia… Nel 1915 dichiarammo guerra all’impero austriaco, alla Germania dichiarammo guerra solo l’anno successivo. A noi ci piace fare le cose un passo alla volta…
L’Adamello diventò uno dei teatri della guerra di montagna che dalle montagne confinarie del Carso, del Friuli, della Carnia, del Veneto, del Trentino, della Lombardia impegnarono i due eserciti in una dispendiosa quanto impossibile guerra d’alta quota dal maggio del 1915 fino all’ottobre del 1917 quando gli Italiani subirono il crollo del fronte orientale a Caporetto e dovettero ritirarsi fin sul Piave in pianura e sul Monte Grappa sulle montagne lasciando nelle mani degli austroungarici ben 300.000 uomini, l’intera Quarta armata. Fu solo 12 mesi dopo che il riorganizzato esercito italiano sfondò a sua volta contro le affamate truppe dell’impero vincendo definitivamente la guerra.
L’Adamello è stato il teatro di una guerra che ha visto giovani vite spezzate spesso più dalle condizioni ambientali – il freddo, le malattie, la neve, i fulmini, le valanghe – che non dagli attacchi all’arma bianca respinti regolarmente dalle mitragliatrici e dalle bombe a mano. Fu anche una guerra di pala e piccone sia per scavare trincee e gallerie nelle montagne che per minare i cunicoli preparati al di sotto dei presidii avversari per farli saltare per aria. In montagna persero tutti, gli Italiani come gli Austroungarici perché la montagna era decisamente la più forte.
Nell’anno del nostro primo centenario della guerra, ci sono molti musei di guerra che vanno visitati per tornare a quel momento della nostra storia patria che è stato fondante di un sentire comune di cui abbiamo un gran bisogno nelle angustie attuali. A Spiazzo c’è un Museo della prima guerra mondiale che merita una visita sia per la passione di chi lo presidia e ne racconta la storia che per i reperti che i recuperanti hanno tratto dai ghiacci dell’Adamello a partire dagli anni Sessanta e Settanta dello scorso secolo. Ci sono le tracce vive quanto disperate della vita in trincea, delle battaglie, delle armi di entrambi gli eserciti. E’ una testimonianza che assume il pathos della passione di chi racconta la storia di questa montagna, ben modellata in un plastico che riporta cime e vallate e l’andamento delle trincee che si inerpicavano lungo le creste. E’ un momento intenso che la Logos, la parola, aiuta a conoscere meglio.
Bella e originale anche la chiesa di San Vigilio, che secondo la storia sarebbe stato trucidato dai locali quando venne per la seconda volta a evangelizzarli, nel quarto secolo della nostra era. Il martire sarebbe affogato nel Sarca, il fiume che corre nella valle. Alcuni storici invece sostengono che il santo sia morto di morte naturale in quel di Trento. Di chi sono allora le reliquie che sono conservate nella chiesa? Il poveretto ebbe una vita difficile da vivo ma pare che non se la passi bene neppure da morto…
Molto meglio se la passano i turisti che si fermano nella frazione di Fisto, a un paio di centinaia di metri dalla chiesa del santo, in un luogo che rende subito l’idea della magia dei tempi che furono e di una cultura dell’accoglienza e dell’ospitalità davvero uniche, Casa Moresc, ospiti di Roberto Quadrini e Roberta Salvaterra.

Casa Moresc
Superato il torrente che attraversa la frazione, la valle si apre verso la montagna. Ti trovi all’improvviso davanti a un palazzo dall’aria arcana, medievale: Casa Moresc, la Casa dei Mori, a ricordare forse dei militi reduci da qualche crociata: Templari? Forse. E forse no. Di certo la costruzione è assai antica, almeno del 1500, con le travi in legno e i sassi a vista sia all’esterno che all’interno. Le basse volte a semibotte del piano terra richiamano ulteriormente tempi assai antichi.
L’esterno è luminoso per via del parco che circonda la costruzione e garantisce sia un’ampia area di parcheggio che un’area non meno importante per proporre una ristorazione all’aperto durante la bella stagione.
Dal 2013 Casa Moresc propone 13 camere, una diversa dall’altra, una più affascinante dell’altra, e il ristorante Al Vecchio Sarca, regno di Roberta Salvaterra. Roberto Quadrini è il deus ex machina dell’albergo.
Roberta Salvaterra è originaria di Tione di Trento. Già nel 1905 la sua famiglia vi aveva un albergo con ristorante, l’Hotel AlBene. Edio Salvaterra, il padre, è stato tra i fondatori della locale scuola alberghiera. Roberto Quadrini invece è originario di Formia, in provincia di Latina, dove la sua famiglia negli anni Sessanta dello scorso secolo gestiva un importante albergo, l’Hotel La Torre. La vocazione per l’enogastronomia quindi è per entrambi una sorta di dna culturale. Roberta l’ha seguita da subito frequentando la scuola alberghiera di Tione, assai nota per l’eccellenza dell’educazione e della formazione che continua a fornire. Roberto invece scelse a un certo punto l’attività bancaria, dove fece carriera. In Trentino Roberto giunse come turista. Conobbe in seguito Roberta, da qui una fusione di interessi umani e professionali.
Nella Casa Moresc il ristorante occupa una buona parte del piano terra, dilatandosi sotto le volte a semibotte dell’antico maniero. La sala colazioni invece è al primo piano dell’albergo. Viene utilizzata anche come sala riunioni. Casa Moresc, per le dimensioni e per il fascino, si presta assai bene anche per gruppi esclusivi, come gli incentive delle aziende, che nelle mezze stagioni la possono affittare interamente garantendo ai propri ospiti un’esperienza davvero unica quanto esclusiva. Casa Moresc è aperta tutto l’anno.

Camere ampie e luminose
L’edificio è di proprietà della Comunità delle Giudicarie della Val Rendena, un’istituzione assai antica che ha la proprietà collettiva dei terreni e di alcuni immobili tra i quali anche Casa Moresc. Roberto e Roberta l’hanno presa in gestione dopo aver vinto una regolare gara d’appalto.
La hall dell’albergo con il bancone della Reception esprime molto bene l’atmosfera di tutto l’edificio: è collocata al primo piano dell’edificio al centro di uno spazio dominato dalla balconata del piano superiore sulla quale si aprono molte delle camere dell’albergo. Vi troneggia uno splendido lampadario in ferro battuto. Tutto l’interno è all’insegna dei materiali naturali, dal lapideo alle boiserie in legno alle travi a vista dei soffitti alcuni mansardati alle pavimentazioni delle camere rigorosamente in listoni di legno non trattato. Molte camere godono di ampi spazi oltre che del panorama esterno dominato dal bosco e dalle cime innevate sull’orizzonte più elevato.
Nel ristorante al “Vecchio Sarca” non viene proposta una semplice promozione enogastronomica, ma anche una promozione culturale in cui si privilegia il legame tra tradizioni culinarie, il territorio e la sua gente.
Alcuni dei piatti tipici caratteristici del Ristorante Osteria al Vecchio Sarca sono:
• la fonduta bourguignon di selvaggina (cervo, capriolo o camoscio);
• il coniglio disossato ripieno con la polenta e le patate del Bleggio;
• lo stinco di maiale;
• il tonco del Pontesel e i capuss de le Montagne.
A questi piatti prodotti con materie prime genuine e di alta qualità, si aggiungono pietanze per celiaci e vegetariani.
Roberta e Roberto sono diventati cultori della tradizione trentina e dell’enogastronomia a chilometro Zero, da qui la scelta di avere una carta dei vini esclusivamente trentina, lo stesso per le grappe, e di rifornirsi da produttori locali scelti per la qualità delle materie prime utilizzate.
Canederli, strangolapreti, tagliatelle (della casa) aprono la rosa dei primi. Braciole di cervo (del territorio) guarnite con marmellata di mirtilli rossi (della casa), selvaggina (del territorio), salumi (sapientemente preparati dal maestro macellaio Giuseppe) al marzemino, mocette di cervo, al capriolo, misti, lardo, speck, oltre alla famosa polenta, il cui ingrediente principe è la farina di Storo (grano Marano), gulasch, funghi.
Altri piatti “formidabili” del locale: il coniglio ripieno accompagnato con la polenta di patate del Leggio, i crauti della Val di Resta, il causa de la Montagne (avvolto con le foglie d’uva americana), la carne salda, la tagliata di manzo. Altra riscoperta di Roberto e Roberta: il binomio di sapori con gamberi di fiume. Nel menù del locale è presente inoltre il “salmerino” alpino, un pesce che vive in acque limpide e fredde nei laghi di montagna e la trota salmonata. Un’attenzione particolare anche per i formaggi trentini, di malga, del casaro Filippo. Tra i dolci, Roberta propone lo strudel della nonna Resj, l’orso ghiottone, la stella alpina, la torta di pere al cioccolato (con fondente al 70%).
Ci sono luoghi che godono di una particolare carica elettromagnetica che favorisce il sonno rendendolo più profondo e ristoratore. E’ il caso di Casa Moresc a Fisto, frazione di Spiazzo, nella trentina Val Rendena. Provare per crederci.

Spiazzo
Il Comune di Spiazzo, a 440 metri di altezza, si trova in Val Rendena, in Trentino, tra il gruppo alpino dell’Adamello-Presanella (a Nord) e il gruppo dolomitico del Brenta (a Est), massicci su cui si estende il parco dell’Adamello-Brenta. La Val Rendena a sua volta è percorsa dal fiume Sarca. Il fiume Sarca nasce pochi chilometri a monte di Spiazzo, a Pinzolo, dalla confluenza, quasi a squadro, del Sarca di Campiglio, del Sarca di Nambrone e del Sarca di Genova, prendendo acque che scendono sia dal Brenta che dall’Adamello. Sport, natura, relax sono dominanti in questa valle che sale parallela al lago di Garda per arrivare al Passo Campo Carlo Magno, a 1681 metri, sotto il Brenta. La strada statale che la percorre sale direttamente da Brescia dopo aver costeggiato il lago d’Idro. Trento è a 50 chilometri, Brescia a 100 chilometri.
Le due famose destinazioni turistiche invernali ed estive di Pinzolo (a 770 metri) e Madonna di Campiglio (a 1500 metri) sono rispettivamente a 7,5 e 20 chilometri salendo lungo la strada statale 239 della Val Rendena.
Il Comune di Spiazzo a sua volta è nato nel 1928 dall’accorpamento di alcune frazioni tra cui quella di Fisto, che si raggiunge lasciando la strada statale per puntare dopo poche centinaia di metri verso una splendida conca ai piedi del Brenta. Al centro della frazione, il santuario di San Vigilio, costruito su ruderi di una chiesa paleocristiana eretta attorno all’anno Mille.

Casa Moresc
3 stelle
Fraz. Fisto, 6/ a-b – 38088 Spiazzo (TN)
Telefono: +39 0465440287
Fax: +39 0465440287
www.casamoresc.it
robertoquadrini1@virgilio.it
Direttore: Roberto Quadrini
Chef: Roberta Salvaterra
Camere: 13
Ristorante: Osteria Al Vecchio Sarca
Bar
Sala riunioni
Parcheggio esterno

Casa Moresc. La Grande Guerra fu combattuta qui
- Ultima modifica: 2014-12-08T15:09:38+01:00
da Renato Andreoletti

1 commento

  1. Quanto rappresentato evidenzia fatti e ricorsi storici della grande guerra bianca combattuta sui monti dell’Adamello – Brenta. Casa Moresc Osteria al Vecchio Sarca di fronte a questi monti vuol essere una evidente situazione che allevi quanto accaduto nel 1914/18: I gestori Roberta e Roberto con i loro gusti cercano di addolcire quei tragici momenti.

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