L’importanza della sala nell’enogastronomia italiana

Valerio Beltrami, classe 1953, piemontese originario di Piedimulera in Val d’Ossola, la valle in cui scorre il fiume Toce che si immette nel Lago Maggiore nell’ansa che il lago forma tra Verbano e Stresa sul ramo Nordoccidentale dello stesso, nel novembre del 2016 è diventato presidente nazionale di Amira, la prestigiosa associazione dei maître d’hotel e dei ristoranti in Italia, fondata nel 1955, che vanta più di 2000 iscritti. Succede a Carlo Hassan. Beltrami era Cancelliere dell’Ordine Grandi Maestri della Ristorazione, sempre in seno ad Amira
Valerio Beltrami, classe 1953, piemontese originario di Piedimulera in Val d’Ossola, la valle in cui scorre il fiume Toce che si immette nel Lago Maggiore nell’ansa che il lago forma tra Verbano e Stresa sul ramo Nordoccidentale dello stesso, nel novembre del 2016 è diventato presidente nazionale di Amira, la prestigiosa associazione dei maître d’hotel e dei ristoranti in Italia, fondata nel 1955, che vanta più di 2000 iscritti. Succede a Carlo Hassan. Beltrami era Cancelliere dell’Ordine Grandi Maestri della Ristorazione, sempre in seno ad Amira

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beltramivalerio-beltramiLa mia famiglia ha radici complesse. Il ramo paterno appartiene al gruppo etnico dei Walser, della Val Strona, una valle laterale della Val Sesia in Piemonte, dove queste popolazioni originarie dal Vallese svizzero si installarono sette secoli fa dopo aver superato i ghiacciai del Monte Rosa. La loro lingua madre è ancora oggi di ceppo germanico. Il ramo materno nasce dall’incontro tra una toscana e un francese, un noto ristoratore trapiantato in Italia. Il cognome di mia nonna è Grimaldi e pare che siamo imparentati alla lontana con i principi di Monaco. Mia madre è nata a Napoli dove il nonno aveva aperto un ristorante di successo in via Chiaia. Morta la nonna, il nonno ha dissipato le sue sostanze con uno stile di vita assai poco rigoroso. Da giovane volevo fare il medico. Un mio coscritto di Piedimulera mi convinse a iscrivermi alla scuola alberghiera con l’idea di girare il mondo. La vita in albergo come un’avventura senza mai fine. Eravamo giovani e ingenui… Mia madre mi ammoniva: non farlo. E’ una professione colma di sacrifici. Il nonno non conosceva vacanze. Lavorava quando gli altri festeggiavano. Per me è diventata una sfida. Sono venuto a Stresa, quando preside era ancora l’indimenticato professor Albano Mainardi. Ci sono stato in convitto per i due anni del corso professionale per la sala. Il triennio era solo per chi avrebbe lavorato dietro la Reception. Ho iniziato subito a lavorare durante le stagioni estive. Un anno vado a Vulcano, l’isola delle Eolie dove c’era un insediamento turistico. Era sul finire degli anni Sessanta. Scopro che la sera veniva interrotta l’erogazione dell’energia elettrica, che era fornita da un generatore, e si viveva alla luce delle candele. Non c’era luce, non c’erano strade. Eravamo letteralmente fuori dal mondo. Chiamai casa disperato. Mia madre mi rispose: “Te l’avevo detto, no? Tu l’hai scelto. Se vuoi tornare, torna, Ma sappi che l’hai scelto tu”. Sono rimasto. Dopo il biennio al Maggia di Stresa, mentre lavoravo ho conseguito la qualificazione del terzo anno e successivamente mi sono anche diplomato completando il quinquennio nell’istituto alberghiero G. Pastore di Varallo. Il salto di qualità umano e professionale l’ho fatto quando ho lavorato in Ciga, la compagnia alberghiera italiana più prestigiosa che abbiamo mai avuto. Ho lavorato al Grand Hotel Des Iles Borromées di Stresa, l’albergo storico per definizione, il cui cantiere iniziò nel 1861, l’anno in cui il re di Sardegna Vittorio Emanuele II divenne re d’Italia per terminare ed essere inaugurato due anni dopo, il 21 marzo 1863. Vi ho lavorato un paio di anni, fino al servizio militare. E’ stato il periodo più formativo dal punto di vista professionale. Ricordo ancora due personaggi come Balzarini e Grigio, professionisti integerrimi che della disciplina e del metodo avevano fatto la loro bandiera. Con loro imparavi che cosa significa lo stile, il portamento, il modo di lavorare in sala.
Il servizio militare l’ho fatto lavorando in sala presso il quartier generale del corpo d’armata dell’esercito italiano con i generali come clienti. Erano generali dall’una alle quattro stelle di grado. E’ stata un’esperienza davvero interessante quanto formativa.
Mi sono sposato giovane, a 22 anni. Con la bimba piccola, Sabina, provai a lavorare in fabbrica per avere orari di lavoro compatibili con le esigenze di un giovane genitore. Finii che il sabato e la domenica lavoravo comunque nel ristorante di un amico ad Aosta. Così rientrai rapidamente nel settore. Era il mio mondo. Ho sempre lavorato in sala. Dal 1990 al 1996 sono stato caposervizio al Grand Hotel del Parco a Pescasseroli, in Abruzzo, nell’area turistica di Roccaraso. Sono stati anni davvero esaltanti. Quando vi arrivai i rapporti tra il personale erano al limite della rissa. Riuscii a contribuire a cambiarli talmente tanto che ancora oggi ho amici legati a quell’esperienza. Lo staff in sala era di 25 persone. All’epoca esisteva il tronco: le mance che venivano accumulate durante la stagione e poi redistribuite tra il personale. La sera prima di ferragosto la cifra complessiva del tronco era arrivata a due milioni e quattrocentomila lire. Considerati in tempi, era una bella cifra. Durante la notte, subimmo il furto di tutti i soldi. Vennero i carabinieri ma non arrivarono a niente. I soldi erano scomparsi. Una ventina di giorni dopo il proprietario dell’albergo, l’ingegner Franconetti, mi chiama in direzione. “Ho saputo che avete subito il furto del tronco”, mi disse. “E che ammontava a 2,4 milioni di lire”. Mi porse un assegno pari alla stessa cifra, che aveva firmato di suo pugno. “E’ per ringraziarvi del vostro lavoro e per quello che avete fatto per l’albergo” mi disse. E’ stata davvero una grossa soddisfazione.
Dal 1984 al 2008 ho insegnato al Formont, scuola di formazione professionale privata accreditata presso la Regione Piemonte, come docente di materie tecniche. Il Formont mi ha aperto un nuovo orizzonte professionale e mi ha imposto una tremenda sfida culturale. Per insegnare, devi conoscere ma soprattutto devi saper porgere la tua conoscenza. E’ stata una sfida che mi ha impegnato a fondo, che per molti anni ha occupato i miei pensieri anche durante il sonno. Da questa sfida per esempio è nato l’unico manuale tecnico legato alla nostra professione di maître sommelier, “Il servizio di ristorante”, che ho scritto negli anni Novanta con Ernesto Alberti Violetti, che insegnava presso l’istituto alberghiero Mellerio Rosmini di Domodossola, testo che è stato adottato in molte scuole alberghiere. In quegli anni ho alternato la scuola con il lavoro sul campo, a Pescasseroli come detto ma anche vicino a Domodossola dove ho gestito un ristorante per un paio di anni. Attualmente sono consulente presso l’Albergo Stella Alpina a Druogno in Val Vigezzo, do una mano a mio figlio Fabio nel sua vineria “Il Divino” di Domodossola, aiuto per amicizia l’Agorà Palace Hotel di Biella della famiglia Tosetti. Per otto anni sono stato Cancelliere dell’Ordine Grandi Maestri della Ristorazione di Amira, ora ne sono il presidente. Sono presidente del Centro agonistico Domobianca di sci di Domodossola di cui curo il settore giovanile. Ho la ferma convinzione che la forma fisica sia un elemento essenziale per aiutare anche la migliore forma psichica. Non sono mai fermo. Infine, faccio parte del Consiglio direttivo di Hospes, l’associazione degli allievi e degli ex allievi della scuola alberghiera Erminio Maggia di Stresa. Hospes fu fondata dal professor Albano Mainardi.

Chi è il maître
Il direttore di sala è innanzitutto un venditore. Un venditore delle eccellenze della cucina e della cantina del ristorante, innanzitutto, e poi del territorio in cui il ristorante si trova. Dobbiamo saper coccolare l’ospite, entrare in simpatia con lui, comunicare studiandone le reazioni. L’obiettivo è far sì che chi si siede a tavola nel nostro ristorante si senta immerso in un’atmosfera positiva, che lo aiuti a vivere una piacevole esperienza umana che non è solo olfattiva e gustativa ma è anche all’insegna di uno scambio di opinioni, di informazioni, di curiosità. Noi non presentiamo un menù, un dessert, una carta dei vini. Noi proponiamo un menù consigliando i piatti del giorno, illustrandoli, ascoltando innanzitutto l’ospite per capire le sue problematiche, se è vegetariano, vegano, mussulmano, se ha intolleranze alimentari, ma anche se ha preferenze. Gli illustriamo i piatti, glieli spieghiamo. Lo stimoliamo. Idem con il vino, che rappresenta la sintesi di una cultura enologica, della produzione originale di un certo territorio, di un’azienda specifica. A seconda delle reazioni che suscitiamo, dell’interesse che il nostro interlocutore dimostra, ci dilunghiamo oppure sintetizziamo il nostro intervento. E’ una sorta di sinfonia la nostra nella quale siamo contemporaneamente i solisti e il direttore d’orchestra. Dobbiamo curare l’armonia dell’insieme, non solo la nota del singolo strumento. Siamo al servizio del cliente, cerchiamo di coccolarlo. Una volta il ristorante era sinonimo di status. Potevano permetterselo solo i ricchi e i potenti. A tavola cercavano cibi esotici o primizie che non erano disponibili sulla tavola di tutti i giorni. Oggi non è più così. Nel Villaggio Globale in cui tutti viviamo, al supermercato viene offerto tutto ciò che è prodotto sul pianeta e a prezzi sempre più competitivi. Chi va nel ristorante lo fa per trascorrere piacevoli momenti in compagnia del proprio partner o degli amici, cerca innanzitutto un ambiente rilassato e confortevole, ricerca inoltre un’esperienza enogastronomica non più esotica ma semmai legata al territorio, alla sua cultura o alla cultura del luogo in cui si trova. Dal punto di vista enogastronomico, il mondo si è ribaltato in questi ultimi quarant’anni. E’ il tipico, l’originale, il biologico ciò che connota i nostri tempi. Nel ristorante conta ancora la forma ma predomina la sostanza, l’esperienza. Non basta far mangiare bene, è fondamentale far sentire l’ospite anche importante, farlo sentire protagonista del film della sua esperienza enogastronomica. Lui è il momento del tuo lavoro. E’ il cliente lo scopo del nostro lavoro. Mai dimenticarlo. Sei al servizio del cliente. Vale per tutte le professioni, se ci pensate. E’ il medico che è al servizio del paziente e non il contrario. E’ l’insegnante che è al servizio dell’allievo e non il contrario. L’esperienza ti insegna a capire lo stato d’animo delle persone con cui interagisci, se è nervoso, se ha fretta, se è rilassato e vuol scambiare due chiacchiere. E’ il valore aggiunto della nostra professione, la capacità di indagine psicologica, che richiede attenzione e capacità di ascolto. Se queste qualità ti mancano, stai facendo il lavoro sbagliato. Non devi sorridere per obbligo. Se il sorriso non ti viene da dentro, hai sbagliato lavoro. L’ospite se ne accorge se sei spontaneo o artificiale. Non è lì solo per mangiare, è lì per vivere un’esperienza che è fatta anche di empatia umana. Come per tutte le professioni, ci vuole un’inclinazione per farla, quello che una volta era chiamato talento, che diventa una vocazione attraverso l’impegno e l’esperienza. Per fare il maître come per fare qualsiasi altra attività professionale. Se lo fai con passione e con cognizione di causa, diventa anche divertente. Lavorare stanca, ma se soddisfa la tua autostima, diventa molto meno faticoso. Diventa perfino un passatempo e ciò spiega perché quando si incontra la professione della propria vita, non si va mai in pensione. Dal punto di vista amministrativo sono in pensione dal 2008 dopo oltre 40 anni di versamenti contributivi, nei fatti lavoro con la stessa intensità di sempre dividendomi tra l’impegno in Amira e l’aiuto che do a mio figlio nel suo locale a Domodossola, che si chiama Divino, oltre a occuparmi anche dei miei nipotini (due, un maschio e una femmina come i miei figli).
In Amira abbiamo progetti molto ambiziosi per rilanciare l’immagine e l’importanza della nostra professione. Innanzitutto lavorando ancora più intensamente con le scuole alberghiere. Bisogna orientare i giovani allievi professionalmente e motivarli personalmente. Mi è accaduto più di una volta che dopo che ho spiegato che lavoro faccio raccontando soprattutto episodi della mia vita professionale, ragazzi di 15/16 anni restano ad ascoltarmi anche per ore e poi vengono a stringermi la mano. Mi fanno venire i brividi al solo pensarci. Mi ringraziano perché finalmente hanno compreso qual è il vero segreto della nostra professione, qual è l’amore per questo lavoro che possono condividere. Quando mi dicono “lei oggi ci ha fatto innamorare del mestiere” è la più bella soddisfazione che mi possono dare. Il nostro obiettivo è anche quello di fornire sostegno, consulenza, formazione ai docenti delle scuole alberghiere affinché riescano a trasmettere sempre meglio agli allievi i valori che sono alla base della nostra professione, una professione in continuo divenire esattamente come è in continuo divenire il fenomeno del turismo nel quale operiamo. L’insegnante è un educatore, come ci ha insegnato Albano Mainardi durante l’intera sua esistenza. Prima si insegnano valori e comportamenti, che sono universali, poi si fornisce un abito professionale legato ai tempi in cui si vive. Un dato per tutti: nel 1950 i viaggiatori internazionali erano 25 milioni, oggi sono 1,2 miliardi. All’epoca il turismo era un fenomeno d’élite che riguardava pochi Paesi, oggi è il fenomeno che riguarda l’intero pianeta, Paesi ricchi come Paesi in via di sviluppo. E’ cambiato non solo il dato quantitativo ma soprattutto quello qualitativo: la professionalità richiesta è assai più sofisticata, anche dal punto di vista tecnologico, e certamente più borghese come recita lo slogan di The Ritz Carlton: Ladies and Gentlemen serving Ladies and Gentlemen.
Ultimo capitolo: la presidenza nazionale di Amira. E’ un onore ma è soprattutto un impegno a far sì che Amira trovi ancora più slancio attraverso un’organizzazione di squadra che responsabilizzi individualmente tutta la giunta e ci consenta di raggiungere gli obiettivi istituzionali che fanno parte della nostra storia. La sala rappresenta non solo l’alter ego della cucina ma è soprattutto un valore aggiunto professionale e culturale per l’azienda per la quale lavoriamo: siamo la prima linea nei confronti dell’ospite che va ascoltato, capito, ma anche indirizzato. Siamo anche gli ambasciatori della cultura dell’accoglienza e dell’ospitalità italiana nel mondo, nostri colleghi lavorano nei cinque continenti ed è importanti creare e mantenere una rete di relazioni personali e professionali per aiutare la promozione dell’Italia, oggi diventata punto di riferimento indiscutibile nel settore dell’enogastronomia, della moda, del design come in passato lo è stato per la pittura, la scultura, la musica classica e l’opera lirica.

AMIRA
L’Amira (Associazione Maîtres Italiani Ristoranti e Alberghi) nasce nel 1955 presso il Ristorante Savini di Milano, su idea del commendatore Guido Ferniani, che ne era il direttore di sala. Attuale Presidente Nazionale è Valerio Beltrami, che è in carica dal novembre 2016. La sede legale e la segreteria sono a Milano.
L’AMIRA è un’Associazione che può contare su un’organizzazione di 50 Sezioni su scala nazionale, ed alcune rappresentanze estere, che raggruppano alcune migliaia di soci, cifra non elevatissima, data la severità dei requisiti richiesti ai nuovi associati.
È un’associazione senza scopo di lucro, a carattere esclusivamente professionale. Scopi e obbiettivi dell’Amira sono:
Riunire i Maîtres Italiani e di origine Italiana, o di nazione membra dell’U.I.M.H., che offrono garanzia di seria preparazione professionale e morale.
Incrementare la reciproca conoscenza e amicizia fra i soci ed intensificare lo scambio di notizie ed esperienze professionali e curarne l’aggiornamento
Mantenere rapporti di collaborazione con imprenditori e dirigenti del settore, allo scopo di raggiungere una sempre maggiore qualificazione professionale
Curare i rapporti con le associazioni consorelle sia in Italia che all’Estero
Creare occasioni d’incontro e di discussione sulle problematiche relative al settore della ristorazione e dell’ospitalità in genere
Promuovere iniziative culturali e professionali per la qualificazione dei Maîtres, collaborare con le Scuole Alberghiere ed enti analoghi per favorire la formazione di giovani aspiranti Maîtres
Promuovere manifestazioni ed iniziative che di riflesso, interessino la stampa, onde divulgarne presso l’opinione pubblica la figura e l’importanza del Maître nel contesto dello sviluppo turistico Sin dalla sua fondazione, l’Amira si è tenuta al passo coi tempi proiettandosi al futuro, guardando l’esigenza della clientela in una ristorazione sempre più evoluta.
L’Amira fa sue la cultura dell’accoglienza e dell’ospitalità, vere risorse turistiche. L’associazione è riconosciuta giuridicamente con D.P.C.M. del 7-07 1994 G.Uff. 1/10-94.

L’importanza della sala nell’enogastronomia italiana
- Ultima modifica: 2016-11-20T09:29:02+01:00
da Renato Andreoletti

3 COMMENTI

  1. Penso che il suo discorso ci fa tornare indietro nel tempo.quando dice che ogni scena che accadeva in sala era uno spettacolo .posso testimoniare quando facevo il commis de Rang al gourmands di palermo in sala con i Maitre che lavoravano alla lampada il sommelier che decantava il vino gli chef de Rang che facevano le gare per affettare l’Arancia brasiliana o a spicchi o a fette (7).il carrello dei bolliti .il carrello dei dolci.la ghigliottina per le fettuccine al tartufo bianco.in sala c’erano 18 tavoli e la brigata era formata dal direttore sig Antonino ferro 2 Maitre d’hotel (magro .bonomo).1sommelier 4 chef de Rang 4 commis 2 apprendisti ai vini.per dirle che quello che ho vissuto mi resta dentro e me lo tengo stretto.erano scene bellissime vissute con tanto amore .oggi i tempi sono cambiati e noi ci dobbiamo adeguare ma senza scordarsi da dove veniamo.vedo in lei una persona che fara’ molto per l’amira .le rinnovo gli auguri per il suo lavoro.e portiamo avanti la nostra figura il maitre non può più perdere .non l’accettiamo più.

    • L’anno trascorso nel dirigere assieme a Hotel Domani anche il Maitre Sommelier mi ha consentito di conoscere e apprezzare un ruolo davvero strategico nel mondo alberghiero italiano. Concordo che può solo essere rilanciato.

  2. Concordo pienamente a cio che il Presidente Beltrami ha spiegato.Io ,questo mestiere lo faccio oramai da 25 anni e devo dire che piu che un lavoro é una vera e propria passione.Fortunatamente ho anche avuto la possibilità di lavorare molto al flambè e di praticare diversi tipi di sporzionature,dai pesci,carni, selvaggina fino alla frutta che ho proposto sempre ad ospiti che sentono la mancanza di quel servizio di classe oramai sempre piu raro in ristorazione.Devo dire che questo non avrei potuto farlo senza un un grande maestro come lui….Grazie di cuore Valerio.

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