Un ragazzo veneziano in giro per il mondo…

Ci sono esperienze che segnano l’intera vita di una persona: il primo importante viaggio è tra queste. A soli 17 anni Marco Polo intraprese un viaggio di oltre 14.000 chilometri verso la lontana Cina, un viaggio effettuato in nave, a cavallo, a piedi. Di quel viaggio ci è rimasto uno stringato resoconto, Il Milione, che ancora affascina i contemporanei dopo aver intrigato centinaia di generazioni. Cristoforo Colombo, quando andò verso Occidente per raggiungere l’Oriente, voleva approdare nel Catai descritto da Marco Polo
Ci sono esperienze che segnano l’intera vita di una persona: il primo importante viaggio è tra queste. A soli 17 anni Marco Polo intraprese un viaggio di oltre 14.000 chilometri verso la lontana Cina, un viaggio effettuato in nave, a cavallo, a piedi. Di quel viaggio ci è rimasto uno stringato resoconto, Il Milione, che ancora affascina i contemporanei dopo aver intrigato centinaia di generazioni. Cristoforo Colombo, quando andò verso Occidente per raggiungere l’Oriente, voleva approdare nel Catai descritto da Marco Polo

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veneziaMarco Polo aveva 17 anni quando nel 1271 intraprese il viaggio della sua vita verso la Cina, viaggio che durò ben tre anni e mezzo attraversando prima il Medio Oriente islamico e poi l’intera Asia dominata dall’Orda d’Oro mongola. 17 anni sono un’età di passaggio decisiva: sei già uomo nel corpo e nei muscoli, ti senti uomo anche nella mente, non ti giudicano tale gli adulti che ti ricordano ancora bambino pochi anni prima, adulti cui ricordi il trascorrere del tempo e il fatto che mentre per te la vita si apre, per loro probabilmente si sta per chiudere.
Marco viaggiò assieme al padre Niccolò e allo zio Matteo, che in Cina c’erano già stati e che vi tornavano per portare al Gran Khan una lettera di papa Gregorio X che avevano incontrato ad Acri, in Palestina, quando l’avevano incontrato come Legato papale. Tedaldo Visconti era diventato papa nel 1271, giusto in tempo per incaricare i Polo della missione apostolica presso l’imperatore mongolo. Il precedente papa, Clemente V, era morto nel 1268. Per tre anni i cardinali, riuniti in Conclave a Viterbo, non erano stati in grado di eleggere il successore finché la popolazione viterbese non li aveva reclusi a forza nel palazzo apostolico scoperchiandone perfino il tetto. Nutriti con soli pane e acqua, i cardinali alla fine si erano messi d’accordo sul nome di Tedaldo.
Marco era nato a Venezia dove viveva in un sestiere che si affaccia direttamente sul Canal Grande. La Venezia della sua infanzia era una città di legno costruita su palafitte ma si stava trasformando rapidamente in una città di mattoni con le facciate sul Canal Grande in marmo, almeno quelle della nobiltà. Ne era passato di tempo da quando queste paludi deserte, frequentate sporadicamente da qualche pescatore, erano diventate il rifugio delle popolazioni della terraferma in fuga dai barbari e soprattutto dai più feroci tra di loro, gli Unni di Attila che nel 452 avevano desertificato Aquileia, la più importante città romana dell’Alto Adriatico da cui transitavano le legioni che si recavano sul Danubio a Est o verso il Reno oltre le Alpi a Nord. I barbari non amavano l’acqua, tantomeno la laguna con le sue nebbie e le sabbie mobili. Le isole di fango furono collegate tra di loro con fragili ponti di legno, le case furono costruite utilizzando l’antica tecnica delle palafitte conficcando migliaia di pali di quercia nel fango melmoso che li induriva rendendoli più robusti del ferro. Sopra i pali veniva costruita una piattaforma in legno che avrebbe sostenuto l’edificio. I canali navigabili venivano segnalati con pali conficcati anch’essi nel fango: bastava toglierli per impedire a chiunque di navigarci. Venezia, il nome del nuovo agglomerato umano, divenne la punta più settentrionale di Bisanzio, che più volte tentò di ripristinare l’antico impero romano alla fine accontentandosi di avere in Venezia lo scalo commerciale più a Nord del Mare Adriatico. Il tempo trascorse, l’influenza di Bisanzio progressivamente diminuì, soprattutto dopo la conquista della penisola italiana da parte di Carlo Magno, il primo imperatore del Sacro Romano Impero. Il primo doge di Venezia conosciuto era bizantino, Paolo Lucio Anafesto, eletto nel 697. E’ dal 742 con Diodato Orso che inizia l’ininterrotta serie di dogi eletti dai veneziani. L’ultimo sarà Ludovico Manin che abdicherà il 12 maggio del 1797.
Venezia infine emerse dalle nebbie dell’Alto Medio Evo come una delle più importanti repubbliche marinare dell’intero Mare Mediterraneo.
Venezia era una città che viveva sull’acqua: l’unico ponte che attraversava il Canal Grande era quello di Rialto ed era stato realizzato in legno con la sezione centrale mobile per far passare le navi a vela con i pennoni più elevati. Il ponte era stato edificato giusto quattro anni prima della nascita di Marco, nel 1250. Prima c’erano stati un ponte di barche e un ponte di legno abbastanza precario per superare il canale. Il ponte di pietra e marmo come lo conosciamo oggi, alto sette metri e mezzo sul pelo dell’acqua, lungo 48 metri con 28 metri di luce sull’acqua, sarà realizzato solo nel 1591, 267 anni dopo la morte di Marco Polo, avvenuta nel 1324, all’età di 70 anni. Possiamo immaginare l’intenso traffico di barche di tutte le dimensioni e tipologie che solcavano i canali su cui si affacciavano le case, nelle quali si entrava direttamente con la porta a canal. I canali erano affollati, dominati dal vociare e dall’imprecare di rematori, mercanti, nobili, servi, tutti indaffarati, tutti sempre di gran fretta. Venezia viveva sull’acqua, rare le strade interne, i campielli erano spesso dei prati pantanosi più o meno incolti punteggiati dai pozzi artesiani che fornivano l’acqua, l’unica fonte di acqua potabile per l’intera popolazione. In laguna arrivavano diversi fiumi: Piave, Sile, Adige vi avevano la foce. La laguna fungeva da grande polmone salato che grazie alle maree aiutava a scaricare in alto mare le deiezioni della città, che finivano tutte nei canali. I topi, le terribili pantegane, erano abituali già all’epoca, un’epoca dove la gente si lavava assai poco, anche i ricchi, dove gli abiti venivano indossati tutti i giorni finché non cadevano letteralmente a pezzi, dove la mortalità infantile era assai elevata così pure quella delle donne che morivano soprattutto a causa del parto e delle infezioni conseguenti: germi e virus erano sconosciuti ai medici dell’epoca. L’attenzione all’igiene dei luoghi in cui si viveva e della pulizia personale dell’individuo che avevano ossessionato i Romani erano scomparse con la calata dei barbari d’oltralpe abituati a vivere da nomadi all’aperto e alla trasformazione della mentalità prodotta dal Cristianesimo che giudicava peccaminose tutte le attività connesse con l’esaltazione della bellezza maschile e femminile. La preghiera era la medicina più diffusa. Se non nascevi dotato di anticorpi assai robusti, le tue aspettative di vita erano decisamente scarse. La morte era una presenza quotidiana come è inimmaginabile oggigiorno. Marco ne sapeva qualcosa avendo perso la madre quando era ancora bambino con il padre mercante in giro per il mondo. Il padre di fatto lo conobbe quando aveva già 15 anni quando questi rientrò dalla Cina assieme al fratello Tommaso. Dopo due anni di sosta a Venezia, i due fratelli Polo non vedevano l’ora di ripartire. Questa volta presero con sé anche Marco.
La Venezia che Marco conobbe nella sua infanzia stava diventando una grande potenza militare, economica e politica del Mare Mediterraneo. Cinquant’anni prima della nascita di Marco, nel 1204, un doge di ben 94 anni, Enrico Dandolo, aveva convinto un’intera armata di crociati a dirottare il loro percorso dalla Palestina, dove avrebbero dovuto liberare Gerusalemme, verso Bisanzio, la straricca capitale dell’impero romano d’Oriente che l’imperatore romano Costantino aveva fondato nel 330, oltre 900 anni prima della nascita di Marco Polo. Costantinopoli era diventata la capitale di un impero che era sopravvissuto al crollo della sua parte occidentale conservando le vestigia dell’antica Roma mentre i barbari a Occidente e gli Arabi a Oriente avevano invaso e condannato all’oblio quello che era stato l’impero di Cesare Ottaviano Augusto e di tutti gli imperatori che gli erano succeduti per oltre 400 anni. Dandolo era un vecchietto terribile quanto carismatico. In un’epoca dove a sessant’anni eri considerato vecchio, con ben poche persone che raggiungevano i settant’anni, la sua età doveva apparire ai suoi contemporanei come una sorta di investitura divina. Dandolo non si era limitato a convincere i crociati a dirottare il loro percorso verso Costantinopoli, si era imbarcato sulle navi veneziane per partecipare all’avventura militare in prima persona. I crociati avevano conquistato l’antica Costantinopoli, l’avevano spogliata degli ori e delle sculture, Venezia si era impadronita dei ricchi traffici che attraversavano il Mar Nero oltre lo stretto dei Dardanelli, controllato da Bisanzio, e del Medio Oriente che si affacciava sul Mare Mediterraneo (Siria, Libano, Palestina). Facevano parte del bottino anche i quattro cavalli di bronzo che furono installati in piazza San Marco a fianco della basilica che era stata costruita nella forma attuale 150 anni prima della nascita di Marco Polo.
Marco aveva vent’anni quando giunse alla corte del Gran Khan dei mongoli, Kublai, imperatore della Cina. Marco vi restò per 17 anni e mezzo, diventando un funzionario assai stimato. Viaggiò per la Cina giungendo fino in Vietnam e anche in India. Infine, tornò in Europa accompagnando prima una principessa mongola che doveva andare in sposa a un altro Khan mongolo il cui regno occupava la Persia. Fu un lungo viaggio via mare seguendo il perimetro dell’intera Asia. Fu un viaggio lungo ma meno pericoloso dell’andata dove i Polo avevano dovuto superare il massiccio del Pamir, con vette di oltre 7000 metri di altezza e colli che superano i 5000 metri di altezza, e il terribile deserto del Taklamakan, la porta d’entrata alla Cina per chi segue la Via della Seta che attraversa l’Iran e l’Afghanistan.
Nel 1162 l’imperatore del Sacro Romano Impero Federico Barbarossa era sceso in Italia e aveva posto l’assedio a Milano, città ribelle. La conquistò e poi la rase al suolo. I suoi abitanti, con il cappio al collo, per avere salva la vita gli donarono le reliquie dei Re Magi che erano conservate nella chiesa di Sant’Eustorgio. Attorno a quelle reliquie fu edificato il Duomo di Colonia, in Germania, iniziato nel 1248 e terminato solo sei secoli dopo. In quello stesso anno a 14.000 chilometri di distanza, da qualche parte dell’infinita steppa che divide il deserto del Gobi dalla Cina, era nato Temugin conosciuto in seguito come Gengis Khan, un oscuro nomade mongolo figlio di un capotribù avvelenato quando lui era ancora bambino, sopravvissuto fortunosamente alle faide che caratterizzavano la vita dei mongoli, diventato il Gran Khan dei mongoli raggruppando le bellicose genti nomadi che vivevano nelle grandi steppe ventose al confine con la Cina. Tra il 1206 e il 1227 Gengis Khan aveva intrapreso campagne militari verso Est, verso Ovest, verso Sud che avrebbero portato entro il 1279 i mongoli a edificare il più grande impero terrestre che l’umanità abbia mai conosciuto che si estendeva su un’area di 33 milioni di chilometri quadrati dalla Cina sull’Oceano Pacifico fino alla Lituania e alla Polonia sul Mar Baltico, alla Persia sull’Oceano Indiano e al Medio Oriente sul Mare Mediterraneo. Marco Polo giunse a Pechino quando Gran Khan era Kublai Khan, nipote di Gengis Khan. Fu Kublai a tentare l’invasione del Giappone per ben due volte, presente Marco Polo: nel 1274 e nel 1281. Entrambe le volte l’invasione fallì a causa di violenti tifoni che travolsero le flotte dei mongoli. Il Kamikaze, il vento divino come lo chiamavano i giapponesi, entrambe le volte respinse e affondò flotte costituite da oltre un migliaio di imbarcazioni con a bordo eserciti di decine di migliaia di uomini, pochi dei quali riuscirono a tornare in Cina. Kublai Khan morirà nel 1294. Marco Polo due anni prima era ripartito assieme al padre e allo zio verso Venezia per accompagnare una principessa mongola che doveva andare in sposa a un Khan mongolo in Persia. Da lì, attraverso l’Oceano Indiano, i tre veneziani tornarono in Palestina da dove si imbarcarono per Venezia. Negli abiti, cuciti uno a uno, un tesoro di pietre preziose che li avrebbero resi ricchi in patria.
Nel 1298 Marco Polo, ricco mercante stanziale, partecipò all’ennesima guerra tra Venezia e Genova per la supremazia sui mari. Sul Mare Adriatico, di fronte all’isola dalmata di Curzola, fu catturato dai genovesi che sconfissero la flotta veneziana. Tradotto nelle carceri di Genova, Marco Polo vi stette per quattro mesi nell’attesa che uno scambio di prigionieri gli consentisse di tornare a casa. Qui conobbe Rustichello da Pisa, un letterato pisano che era stato catturato nel 1284 nella disastrosa sconfitta della Meloria, al largo della costa tirrenica, dove Pisa perse l’intera flotta e il suo ruolo come Repubblica Marinara. La sconfitta fu talmente disastrosa che la città non fu mai in grado di riscattare i suoi prigionieri che erano nelle carceri genovesi dopo ben 14 anni. Fu Rustichello a raccogliere il racconto di Marco e metterlo su carta in lingua d’oil, il francese dell’epoca.
Marco era dotato di una memoria prodigiosa, tipica di un’epoca che doveva far conto di più sulla memoria che sulla scrittura. Il suo racconto è stato vivisezionato nel corso dei secoli e riscontrato regolarmente. Le grandi biblioteche del passato romano erano state distrutte, i testi dispersi. Era solo nell’Islam che si era conservata la memoria scritta di Greci e Romani, filtrata attraverso il pensiero monoteista mussulmano. L’Occidente aveva conosciuto secoli e secoli di analfabetismo imperante, sia tra i nobili che nella plebe. Solo un pugno di monaci e chierici aveva conservato la capacità di leggere e scrivere. La mnemonica, l’arte di ricordare, era diventata una scienza a se stante. Pico della Mirandola era un professore di mnemonica, lo era anche Giordano Bruno. Il Rinascimento sarà anche l’arte di ricordare il passato per riviverlo alla luce della contemporaneità. Possiamo immaginare la stupefazione di Marco ogni volta che visitava una città nuova, incontrava gente dalle usanze bizzarre per gli usi cui era abituato, imparava a comprendere lingue dalla pronuncia impronunciabile (Niccolò e Matteo Polo sapevano il tartaresco, come scrisse Marco a proposito della lingua dei mongoli, e lo insegnarono a Marco durante il viaggio), assaggiava cibi e bevande sconosciuti. Il Milione getta una luce flebile sulla continua stupefazione che dovette caratterizzare il viaggio e le esperienze del giovane veneziano. Si ha 17 anni una sola volta nella vita…
Marco Polo fu un viaggiatore curioso con la mentalità del mercante veneziano che non si limitava solo a curiosare e a stupirsi ma che in ogni luogo cercava di cogliere anche le occasioni di commercio analizzandone le risorse, umane e materiali. Nello stesso periodo ci fu un altro viaggiatore, questo dell’anima e della mente, che visse negli stessi anni di Marco, tra il 1265 e il 1321, ma con un vissuto umano e intellettuale del tutto originale: Dante Alighieri. Ma questa è tutta un’altra storia…

Un ragazzo veneziano in giro per il mondo…
- Ultima modifica: 2015-12-27T15:20:20+01:00
da Renato Andreoletti

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