Venni. Vidi. Scrissi

Un paese ricco di storia come l'Italia dovrebbe raccontarla meglio, soprattutto la storia minima dei luoghi e delle popolazioni recuperando la magia del tempo trascorso. Tra Veneto e Sud Tirolo, tra Ampezzano e Marebbe, scorci di vita vissuta su un arco di tempo plurisecolare
Un paese ricco di storia come l'Italia dovrebbe raccontarla meglio, soprattutto la storia minima dei luoghi e delle popolazioni recuperando la magia del tempo trascorso. Tra Veneto e Sud Tirolo, tra Ampezzano e Marebbe, scorci di vita vissuta su un arco di tempo plurisecolare

Leggi anche

P1090590Una tranquilla gita in montagna in un luogo deserto a 2000 metri di altezza lungo una antica strada militare dove il bosco incontra le crode dolomitiche, assorto nei pensieri. Dopo una svolta, il cuore salta un battito, i visceri per poco non collassano. Di fronte, con passo furioso, avanzano sei figuri di cenci vestiti: barbe e capelli incolti, arruffati, pelame che non ha mai conosciuto il rasoio e la forbice, i volti scavati dal sole neri di sporco come di chi non si sia mai lavato se non con la pioggia, corte brache di fustagno stazzonate al ginocchio, dei cenci come camicie e corti gilet di pelle di capra o di pecora non saprei dire anche per il loro stato cencioso. Dei sei furiosi, uno era più piccolo della media, una sorta di Caron dimonio dagli occhi di bragia, un altro era una specie di gigante alla Schreck, un orco silvano. Gli altri quattro erano tra i più brutti ceffi che abbia mai visto, uno con un’orrenda cicatrice che gli solcava il volto in senso diagonale. Tutti e sei brandivano una balestra con il verrettone inserito nella scanalatura pronto a trapassare qualunque bersaglio si fosse trovato sulla linea di mira nel raggio di 50 metri. Gesticolavano in maniera minacciosa pronunciando frasi dure, aggressive, per me del tutto incomprensibili. Mi raggiunsero… e mi attraversarono come se fossi un fantasma. Ristetti immobile, il fiato in gola, basito. Erano i sei balestrieri che la comunità di San Vigilio in Marebbe inviò verso il bosco di Rudo, tra il Marebbano e l’Ampezzano, tra la Val Pusteria e il Cadore, per mettere in fuga i pastori che salivano dal Vallon Scuro che sbuca a valle poco sopra Cortina d’Ampezzo laddove la strada statale detta Alemagna si approssima al colle di Cimabanche prima di scendere verso Dobbiaco. L’erba era vita per i pastori delle due valli e il controllo dei pascoli di montagna era vitale per la loro sopravvivenza. Gli ampezzani sostenevano che la fascia prativa tra la roccia delle crode e l’abitato più in basso di quella valletta era loro per averla acquistata nel 1415, lo stesso affermavano i marebbani che vantavano diritti di pascolo assai più antichi. Era il 1425, da cinque anni l’Ampezzano faceva parte dei domini di terraferma della Serenissima repubblica di Venezia che a partire dal 1404 aveva deciso di creare uno stato di terraferma anche per raccogliere più risorse per combattere il Turco. Veneto e Lombardia erano dominio dei Visconti di Milano che due anni prima, nel 1402, avevano perso il loro capo, Gian Galeazzo, al culmine della sua potenza, morto di peste all’età di 51 anni nel castello di Melegnano. Gian Galeazzo fu il primo Duca di Milano, nonché Signore di Milano, Verona, Crema, Cremona, Bergamo, Bologna, Brescia, Belluno, Pieve di Cadore, Feltre, Pavia, Novara, Como, Lodi, Vercelli, Alba, Asti, Pontremoli, Tortona, Alessandria, Valenza, Piacenza, Bobbio, Parma, Reggio Emilia, Vicenza, Perugia, Vigevano, Borgo San Donnino e delle valli del Boite. Gian Galeazzo lasciava come eredi dei fanciulli e una moglie reggente, Caterina Visconti, del tutto inadeguata. Venezia ne approfittò. Nel primo trentennio del 1400 a Ovest era arrivata fino al Lago di Garda e all’Adda accettando la sottomissione di Verona, Vicenza, Padova, Bergamo e Brescia spingendosi fino al fiume Po con l’acquisizione di Crema e Cremona e più a Sud con Rovigo. A Nord era arrivata a Feltre e Belluno, in Cadore si era spinta fino alle Tofane, inglobando anche l’Ampezzano. A Est aveva conquistato il Friuli fin quasi a Tarvisio e la Carnia fino a Pontebba. Ancora più a Est il Leone di San Marco torreggiava sull’Istria e sulla Dalmazia fino a Zara. Un funzionario del Doge salì a Cortina e sentenziò che i prati contesi con i marebbani appartenevano alla Regola di Cortina, che li amministrava per conto dell’intera popolazione. I marebbani però non erano sudditi della Serenissima. Prima erano stati sudditi della contea del Tirolo, poi degli Asburgo da quando questi nel 1363 l’avevano acquistata dagli eredi di Mainardo, che aveva fondato lo stato alpino nella seconda metà del 1200. Di farsi espropriare i prati da quei villici di Cortina, proprio non se ne parlava. Da qui la spedizione intimidatoria dei sei marebbani. La disputa andò avanti per anni, con intimidazioni e razzie di bestiame da entrambe le parti ma senza morti. Meglio lasciar fuori Venezia e Vienna dalle dispute locali: sarebbero finiti cornuti e mazziati entrambi. Un secolo dopo anche gli ampezzani sarebbero diventati asburgici, quando le truppe dell’imperatore del sacro romano impero avrebbero conquistato Cortina d’Ampezzo nel 1511 durante la guerra della Lega di Cambrai organizzata dal papa contro Venezia per bloccarne l’espansione. Venezia le prese di santa ragione ma poi il papa cambiò idea e alleanze. Venezia riuscì a salvare la gran parte delle sue precedenti conquiste con esclusione tra l’altro dell’Ampezzano, che restò asburgico.
Dieci anni dopo andò meglio nell’analoga disputa tra marebbani e badioti dell’Alta Badia per i pascoli dell’Alta val Fanes. Il magistrato tirolese che emise la sentenza a Brunico stabilì che i pascoli fossero sfruttati da entrambi ad anni alterni. È ancora così anche nel Terzo Millennio, oltre 500 anni dopo.
La balestra assieme all’arco composito dei mongoli e all’arco lungo gallese fu un’arma individuale micidiale fino all’arrivo di pistole, moschetti e archibugi. Mentre l’arco degli arcieri a cavallo e l’arco degli inglesi richiedevano una specializzazione che iniziava fin dall’adolescenza, e un fisico notevole per gli inglesi, la balestra poteva utilizzarla chiunque dopo un minimo di addestramento. A breve distanza, era micidiale anche contro le migliori corazze. In Cina, secoli prima che in Europa, avevano inventato perfino la balestra a ripetizione, capace di lanciate salve di 20 dardi uno dietro l’altro grazie a una leva che ruotando come in un organetto caricava e lanciava i dardi contenuti in una sorta di cassa armonica agganciata all’arma. Non era molto precisa e potente però salve ininterrotte di dardi lanciati da fitte schiere di balestrieri risultavano estremamente efficaci quando gli opposti schieramenti arrivavano a pochi passi di distanza come accadeva, molti secoli dopo, con le raffiche di fucileria con i fucili a canna liscia che gli eserciti si scambiavano giunti a 10 passi in pieno 1700. Era la tecnica impiegata durante le guerre di Federico di Prussia ma ancora all’epoca di Napoleone Bonaparte. La quantità sopperiva alle deficienze tecniche e balistiche delle armi.
Torniamo alle montagne tra Veneto e Sud Tirolo. Non miglior sorte ebbe questa volta con i marebbani Virgilio Franceschi, un geniale falegname che negli anni Cinquanta del 1800 costruì un incredibile marchingegno per trasportare il legname da Pederù, alla testa della val Mareo che collega San Vigilio di Marebbe, nelle valli che digradano verso Cortina e l’Ampezzano. Il Comune di Marebbe aveva effettuato un consistente taglio di legname a Fanes e lo aveva venduto a un mercante veneto. Per poterlo far fluire verso la pianura attraverso il torrente Boite, il legname doveva essere trasportato nel piano di Revis. Cavallai ampezzani vinsero il concorso per il trasporto del legname. Il trasporto attraverso la Pusteria si dimostrò faticosissimo soprattutto per superare il colle di Cimabanche. Silvestro Franceschi, detto Tete Dane, costruì una teleferica che da Pederù saliva fino alla sporgenza rocciosa che sovrasta la valle. Trasportò il legname utilizzando una teleferica abbinata a una ruota idraulica azionata da un torrente. Venne tracciata una strada che attraversava Fodara Vedla e raggiungeva Campo di Croce. Da qui il legname scivolava verso il basso raggiungendo Ra Stua e Revis dove trovava il Boite che scende verso Cortina per confluire infine nel fiume Piave. Questa soluzione consentiva un viaggio e mezzo al giorno con un guadagno notevole, di tempo e denaro. A lavoro ultimato, la teleferica fu offerta ai marebbani i quali proposero una cifra ritenuta irrisoria. Tete Dane, offeso, preferì bruciare il macchinario. Il colle su cui arrivava la teleferica si chiama da allora Col de ra machina.
Se nel corso della loro storia i valligiani dei due versanti i loro problemi li risolvevano con qualche sana scazzottata, la situazione cambiò quando i venti di guerra arrivarono dall’intera Europa che stanca di essere potente, ricca e colta, decise di suicidarsi con la prima guerra mondiale. I confini furono militarizzati, anche quelli che dividevano Stati alleati tra di loro come il regno d’Italia e l’impero austroungarico, formalmente alleati dal 1882. Gli austriaci trincerarono le valli che da sempre dividevano l’Ampezzano, militarmente indifendibile, dalla val Pusteria trasformando le valli in una unica rocca imprendibile munita di cannoni e mitragliatrici, valli percorse da profonde trincee di collegamento. I lavori iniziarono nel 1913, quando i venti di guerra erano ben lontani dall’aver assunto l’intensità della tragedia, a due anni dall’entrata in guerra dell’Italia, a dimostrazione che a Vienna non ci si faceva alcuna illusione sul fatto che i Savoia avrebbero rispettato i trattati che pure avevano firmato. Quando mai i dinasti europei, pure imparentati tra di loro, aveva rispettato la propria parola d’onore?
Gli italiani provarono due volte a sfondare partendo da Cortina, che avevano occupato nel 1915, la prima volta già in quell’anno, a luglio, la seconda volta nel giugno del 1916. Incontrarono una invalicabile muraglia di granate, cannoni e soprattutto mitragliatrici. Non passarono, mai. Gli austriaci ebbero più morti a causa delle slavine nei due inverni più nevosi del secolo, quelli a cavallo tra il 1915 e il 1916 e l’anno seguente.
Di quell’assurda guerra, tra le più assurde della storia, sono rimaste le vie militari costruite con grande ingegno e perizia sia dagli italiani che dagli austriaci e che oggi costituiscono un patrimonio turistico impagabile per gli alpinisti ma anche semplicemente per chi ama la montagna. Laddove marebbesi e ampezzani litigavano per i pascoli, ci sono magici percorsi nel bosco, tra i mughi, ai piedi delle crode dolomitiche punteggiati da pannelli informativi che raccontano le antiche storie che hanno riguardato la storia minima dei valligiani e quella più facile da riscontrare nei libri di storia quando i potenti giocano con la vita dei propri simili. Cammini sulle orme di esseri in carne e ossa. Ricordarli è segno di civiltà.

Venni. Vidi. Scrissi
- Ultima modifica: 2016-01-18T10:44:22+01:00
da Renato Andreoletti

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome

HD – Single Template - Ultima modifica: 2021-09-24T15:19:00+02:00 da Redazione Digital Farm
css.php