Chi frequenta il settore alberghiero sa bene con quanta facilità un hotel venga definito “iconico”, specie quando immerso nella “splendida cornice” di una “location mozzafiato” che lo rende “esperienziale” e capace di “lusso autentico”. Parole importanti e un tantino abusate, che spesso restano vere solo tra le righe dei comunicati stampa. Ma non sempre è così. Perché poi c’è l’Hassler, che icona di una città lo è davvero, da 130 anni e dall’alto della Scalinata per eccellenza, quella di Trinità dei Monti. Un posto nel mondo che definire soltanto location è uno spreco, per capirci. E a guidarlo, da tre generazioni, ci sono i Wirth, famiglia che dopo quel fuoriclasse assoluto di Roberto E. Wirth vede oggi al timone i suoi due giovani figli Roberto Jr. e Veruschka. Fratelli gemelli per intenzione e visione del mondo, prima ancora che per biologia, e con le idee chiarissime sulla missione che hanno. Che non è soltanto quella di gestire un grande hotel. Ma di custodire l’eredità di una storia che ne contiene altre mille, passate e future, tutte figlie di due gemelli di tremila anni fa e diventate eterne sotto il cielo di Roma.
Roberto e Veruschka, nel vostro caso dire che l’ospitalità era scritta nel destino non è affatto un esercizio di retorica.
Veruschka: Esatto, fin da bambini abbiamo respirato l’aria dell’hotel. Penso di poter parlare per entrambi quando dico che per noi non c’è stato neanche bisogno di chiedersi se un giorno avremmo lavorato all’Hassler. Era nella naturalità delle cose, anche se nostro padre ci avrebbe lasciato liberi di fare tutt’altro. Così, dopo aver frequentato la scuola Marymount nella nostra Roma, a tredici anni siamo andati a studiare all’estero, io a Zuoz, vicino a St. Moritz, e mio fratello in Inghilterra, mentre per l’università ci siamo riuniti a Glion, in Svizzera.
Dopo la quale, invece del rientro alla base, avete scelto di fare esperienza all’estero. Cosa abbiamo da imparare dagli altri sistemi ricettivi?
Roberto Jr: All’estero c’è più apertura mentale, un adattamento al cambiamento più agevole. Mi riferisco all’adozione di nuove tecnologie e di nuovi standard che in Italia, quantomeno dal nostro osservatorio di hotel indipendente a gestione familiare, sono meno elementari. In Italia cambiare la mentalità delle persone per aprirsi a qualcosa di nuovo – e che magari funziona anche meglio – è certamente più sfidante.
V: Gli hotel indipendenti, in Italia come all’estero, fanno un po’ storia a sé, e certamente hanno il vantaggio di poter decidere cosa fare senza mai risultare standardizzati. Naturalmente sta a noi restare sul pezzo, viaggiando molto per intercettare le novità.
Come si migliora un’icona dell’ospitalità come la vostra?
V: L’Hassler non mira tanto ad essere trendy quanto piuttosto a restare senza tempo. È per questo che da sempre punta sulla sua peculiare “Old School Vibe”, che sa renderlo classico senza mai farlo diventare vecchio. Ecco, mantenere la storia al passo con i tempi è un obiettivo che ha bisogno di lavoro costante: il nostro è un cliente che valorizza sopra ogni cosa l’eleganza, la comodità e il servizio. Le tante catene internazionali che stanno aprendo a Roma, poi, sono una spinta a restare competitivi, e da qui il progetto della nuova spa da 700 mq, il restyling delle aree comuni, il rifacimento costante delle camere, dalle cinque alle dieci all’anno. Tutte iniziative pensate per mantenere, e aggiornare, il senso di eternità, la “timelessness”.
Qual è il principale tratto dell’hotel che celebra l’essenza di vostro padre?
R: Nei quarant’anni di direzione all’Hassler, nostro padre ha stabilito dei principi molto forti sui quali io e mia sorella non abbiamo intenzione di derogare. Mi riferisco alla filosofia di servizio, alle camere, al personale. Elementi distintivi e che restano immutabili.
V: Il modo in cui ci si sente a casa, all’Hassler, è frutto del lavoro di nostro padre, e si riflette nelle attività del nostro meraviglioso staff. È bello vedere come certi modi di fare e di accogliere si riproducano quasi in maniera automatica, tramandati dalle persone che lavorano con noi di generazione in generazione, dai più anziani ai più giovani. Senza particolari interferenze, le regole impostate da nostro padre continuano ad essere vive ogni giorno. E i nostri ospiti dimostrano di amare molto questa continuità. In hotel siamo davvero una grande famiglia, e se noi rappresentiamo la sesta generazione di albergatori – e la terza di proprietari dell’Hassler – non mancano collaboratori giunti anch’essi alla terza generazione. Siamo davvero fortunati.
Sta nel personale il punto di differenza dell’Hassler rispetto agli altri “pari grado”?
V: Certamente, lo staff e la posizione sono le prime voci di differenza.
R: Alla fine di un soggiorno i nostri ospiti non raccontano tanto della nostra location, pur magnifica, quanto di come si sono sentiti in hotel. E questo lo dobbiamo al personale. L’Hassler è un po’ come un’oasi dentro la città, dentro la quale si respira il lusso – quello autentico – e la Dolce Vita. Rispetto ai nuovi alberghi, che chiedono a un architetto di dare un’anima a un luogo, qui c’è già da sempre, l’anima. E la si avverte in ogni sfumatura.
V: In questo senso ci distingue anche la cura degli ambienti, l’interior design, che nel nostro caso è frutto del gusto di nostra madre: ogni spazio e ciascun oggetto, anche il più piccolo, è studiato nel dettaglio. Non è una caratteristica tanto comune: in un’epoca in cui gli hotel si danno al minimalismo, crediamo che sia importante poter offrire anche opulenza. È per questo che le nostre camere vanno da quelle più classiche e piene di memoria a quelle più moderne, secondo i gusti di chi le abiterà.
Qual è il valore aggiunto che ciascuno di voi due pensa di portare sul lavoro?
R: Io e mia sorella la pensiamo in maniera molto simile, anche se poi ci esprimiamo in maniera diversa. Mia sorella ha un approccio – si potrebbe dire – più diretto.
V: Sta cercando di dire che perdo la pazienza più facilmente di lui, praticamente (ride).
R: Ma non è una caratteristica negativa. Io sono più paziente, forse lo sono anche troppo. E quindi ci compensiamo, da questo punto di vista.
V: La pensiamo allo stesso modo perché – oltre che essere gemelli – siamo cresciuti con gli stessi valori e la stessa visione per l’albergo, con il faro dell’esempio di nostro padre. Le nostre diverse personalità ci aiutano molto: io curo la parte più commerciale e legata al viaggiare e alle relazioni, mentre Roberto è più attivo sul versante amministrativo. Le cose si sono divise in modo quasi naturale, fermo restando che ci consultiamo di continuo e che abbiamo un ottimo rapporto. I litigi sono rari, e comunque sono sani e restano ben dentro l’ufficio. Solo la segretaria sa.
Il primo ricordo che avete dell’hotel da bambini?
R: Mi ricordo il ristorante che si trova al sesto piano, con il suo legno verde, e le domeniche trascorse lì, a tavola con la famiglia per il brunch.
V: Quando eravamo piccoli, in cucina c’era l’acquario con le aragoste vive, e io e Roberto eravamo convinti che loro fossero i nostri animaletti domestici, tanto da portare giù i nostri amichetti perché potessero vederle. Non avevamo assolutamente idea che i nostri amici animali fossero sempre diversi e che cambiassero ogni 24 ore: scoprirlo è stato un po’ un trauma, per noi e per i nostri amici.
Cos’è il lusso visto dalla scalinata di Trinità dei Monti?
V: Abbiamo ospiti molto diversi tra loro. C’è chi vuole discrezione e privacy e chi cerca coccole e personalizzazione. E noi sappiamo soddisfare entrambi i desideri.
R: Già nostra nonna metteva al centro gli ospiti e le loro esigenze. Ognuno di essi è un vip, per così dire, ed è importante conoscerlo e seguirlo durante l’intera esperienza in hotel. Oggi l’ospite di alto livello cerca esperienze e generosità, e su questo trend stiamo lavorando con grande cura.
V: Ma il lusso passa anche dalla prossimità. Diversamente da altri contesti, nel nostro hotel si creano con gli ospiti amicizie vere e durature: ne siamo felici e siamo estremamente approcciabili. Vale per noi due così come vale per nostra madre, che “se ne approfitta” un po’ e si diverte in giro per l’hotel con le sue amiche, dedicando il suo occhio vigile ad aiutarci. Perché sì, all’Hassler c’è davvero un’aria di famiglia che piace molto anche a chi arriva.
Cosa degli hotel di catena si può, se non invidiare, esportare?
R: Il plus dei grandi brand sta in alcuni standard di servizio ben strutturati e fatti di regole che lo staff deve seguire, come accade in Four Seasons. Funzionano davvero bene. Sul lato più materiale, le catene hanno un potere di spesa molto alto per il sales e marketing, visto che è centralizzato.
C’è un angolo di Roma, magari meno noto, che amate in particolare?
V: Ovviamente si possono citare mille luoghi, ma scelgo Villa Borghese. È un luogo incantevole, a pochi metri dall’hotel e in grado di accoglierti per una passeggiata, un momento di riflessione o per fare un po’ di sport.
R: Cito anch’io Villa Borghese, oltre al campo da golf di Parco di Roma, che da alcune buche sa incantare con la vista della Cupola di San Pietro.
V: Roberto è patito di golf, e si riconosce all’istante con gli ospiti con la stessa passione. Prova addirittura gli swing negli specchi dell’hotel… Io invece amo il tennis, che pratico in un circolo molto tranquillo.
Qual è la prima cosa che cercate o che notate in un hotel quando siete voi gli ospiti?
V: Banalmente, guardo molto l’accoglienza e il servizio, elementi che sono in grado di rendere perfetta anche l’esperienza in un hotel non perfetto. L’accoglienza è importantissima, ed è in grado di dare il segno all’intero soggiorno.
R: Anche per me l’elemento chiave sta nel servizio, fatto anche di amenities e upgrade. È la generosità di cui dicevo prima, sulla quale stiamo lavorando con grande cura, restando sempre aperti a tutte le novità in grado di regalare agli ospiti l’eccellenza.
Il famoso effetto wow. Come se non bastassero le finestre, nel vostro caso. Grazie ad entrambi.