È un passatempo per ricchi. È difficile da imparare. Non ci sono campi da gioco, è noioso e poco “televisivo”. Non è nemmeno uno sport, le attrezzature costano un occhio… I pregiudizi sul golf sono tanti. Quasi quante le opportunità che questa attività è invece in grado di garantire. In termini di cultura sportiva, certamente. Ma anche dal punto di vista economico. E, complice (anche) l’ultima Ryder Cup organizzata a Roma, anche l’Italia lo sta comprendendo, liberandosi dei pregiudizi e delle diffidenze. E se ne è accorta anche la ricettività, che sempre più tocca con mano le potenzialità del turismo legato al mondo dei par, dei green e dei caddie. Un universo in una pallina bianca e che vale miliardi.
La buona notizia? È che può essere intercettato anche senza avere un campo da golf nel proprio “cortile”. Ma come sempre, è giusto ascoltare chi se ne intende. Come Michele Pani, fondatore di MVP Hospitality & Golf Experience, brand pensato per collegare le sue competenze in ambito hospitality, managerialità e, per l’appunto, il golf. Che è, spiega lui, “tutt’altro che uno sport elitario: in realtà è molto praticato e popolare. Nel mondo ci sono più di 40mila percorsi in 206 nazioni, e 80 milioni di persone che lo giocano, solo tra i tesserati alle varie federazioni nazionali. In diversi Paesi poi – Stati Uniti, Regno Unito, Giappone, Australia, Sudafrica, Scandinavia – il golf è tra gli sport più praticati in assoluto”.
Ma è davvero uno sport principalmente per ricchi?
Niente affatto. Il golfista appartiene a qualsiasi ceto sociale. C’è ovviamente anche quello alto spendente, ma è un mondo molto più vario di quanto si pensi. Sugli 80 milioni di tesserati nel mondo, 25 milioni fanno una vacanza di golf all’anno. È un elemento interessante, perché l’appassionato di tennis – per fare un esempio – difficilmente fa una vacanza a tema, mentre il golf è uno degli sport più turistici in assoluto. E sui 25 milioni di golfisti viaggiatori, il 25% fa più di due vacanze di golf all’anno e il 10% più di quattro, con un soggiorno medio di 4 notti.
C’è una stagionalità precisa?
No. Il golfista gioca anche con il freddo e con la pioggia. Il gioco si ferma solo se il campo diventa impraticabile. Solo in caso di neve, ecco. Le faccio un esempio: quando ero direttore commerciale degli alberghi Le Méridien, in Algarve, eravamo aperti tutto l’anno. La bassa stagione era da metà giugno a tutto agosto, perché fa caldo e il golfista turista gioca a casa e non viaggia. La nostra alta stagione era tra febbraio, marzo, settembre, ottobre, novembre. Ovvero nei periodi che in Italia sono di media e bassa stagione: elemento che rende il golf lo strumento perfetto per arricchire i periodi di spalla in regioni come Liguria, Sicilia, Sardegna, Puglia, Lombardia. È un punto di forza enorme.
Una manna per le basse stagioni, insomma. Ma su che mercati?
In Europa ci sono 11 milioni di turisti golfisti: il 62% proviene dal Nord Europa, cioè Germania, Scandinavia, Est Europa, Svizzera, mentre il 33% proviene dal solo Regno Unito con l’Irlanda. Il 5% rimanente arriva da Spagna, Portogallo e Italia. I mercati davvero emergenti sono quelli dell’Est, come la Repubblica Ceca: stanno aumentando i campi e il numero dei giocatori. E portano sì il cliente alto spendente, quello “da suite”, ma soprattutto quello che per giocare a golf e dormire bene spende il giusto, cercando anche alberghi midscale.
Qual è la situazione di domanda e offerta in Italia?
Abbiamo pochi campi rispetto al resto dell’Europa: la Francia ha il triplo dei campi, noi siamo al livello della Svizzera. I golfisti italiani sono solo 90mila, con il 70% di campi e praticanti concentrati nel Nord Italia, principalmente in Lombardia. Il resto si sviluppa tra Emilia-Romagna, Toscana e Lazio. Il sud conta solo per il 5%: il golf è sviluppato poco e niente, con le lodevoli eccezioni di strutture come il Verdura Resort, Borgo Egnazia, San Domenico, Is Molas, Is Arenas. Eppure, per un albergatore italiano, avere a che fare col golf sarebbe importantissimo: lo ripeto sempre, nella mia attività di consulente.
C’è almeno una destinazione di forte attrattività?
Il nostro Paese trova la sua destinazione più golfistica nel Lago di Garda, che ho vissuto in prima persona perché ho diretto Palazzo Arzaga Golf Resort. Il problema dell’Italia è che questi campi con poche eccezioni non sono turistici: hanno molti soci, il che vuol dire che il sabato e la domenica per un turista è un po’ una corsa ad ostacoli trovare posto per giocare. Per questo propongo sempre di farli giocare dal lunedì al venerdì, riservando il sabato e la domenica alle altre attività più turistiche.
Tra Venezia, Firenze, Roma e Milano, qual è quella messa meglio?
A livello numerico Milano, ma per qualità dei campi dico Roma. La Capitale ha Marco Simone, Castel Gandolfo, la Cassia con tre campi bellissimi uno dietro l’altro come l’Olgiata, Terre dei Consoli e il Golf Nazionale. E poi ha il clima: giocare d’inverno a Milano è sfidante. Firenze non sempre offre belle giornate, Venezia peggio. Più in generale, l’Italia ha la fortuna di avere tanto altro oltre al golf – arte, enogastronomia, paesaggio, cultura diffusa – quindi al golfista che arriva in Italia basta avere due-tre campi nel raggio di cinquanta chilometri, e poi può fare tanto altro.
Quindi non è necessario avere un campo da golf, per attrarre il target.
Assolutamente no. Come ho detto prima, basta averne almeno uno o due nel raggio di 50 chilometri. Piuttosto, per un albergo che voglia dirsi golf-friendly, ci sono alcune cose importanti: il golfista vuole una colazione top, ricca di prodotti, anche biologici e salutari, perché spesso non ha il tempo di pranzare, visto che una partita dura 4-5 ore. E poi vuole un bar ben fornito e una bella offerta di attività extra-golf tra attrazioni, escursioni, musei, mercati. È un’ottima mossa anche allestire uno store dove comperare prodotti da golf, prendendo spunto dal Royal Sanremo, che ha creato nel suo negozio una linea ad hoc. Altro eventuale plus è quello dell’allestimento di un putting green sintetico, ovvero l’area intorno alla buca, per allenarsi. Non ha costi elevatissimi e funziona bene sia outdoor che indoor, magari in una sala riunioni che d’estate non viene utilizzata. Lo ha fatto uno degli alberghi del Gruppo Delphina in Costa Smeralda per far divertire i clienti, con ottimi riscontri, e tanti altri sono molto interessati.
Che consigli si sente di dare a un albergatore che inizia da zero?
Intanto deve conoscere i golf club del suo territorio e i loro responsabili, per creare sinergie. Lo dico anche da ex direttore di golf club; ne ho diretti due, uno con albergo e uno senza: lavoravo tanto con gli hotel di prossimità privi di campi, ai quali riservavo tariffe speciali, incentivandoli a mandarmi i loro ospiti, che poi pagavano il green fee. Il golfista è un turista che beve, mangia, noleggia i Golf Cart, la sacca, i servizi… Tante possibilità di revenue, che fanno sì che un golf club abbia tutto l’interesse a lavorare con le strutture ricettive della sua zona. L’optimum per gli hotel è creare dei pacchetti che comprendano un green fee, cui dare visibilità sul proprio sito e nelle attività di marketing. Ad esempio, per un albergo che seguo sul Lago Maggiore abbiamo creato una pagina web solo sul golf ed abbiamo inserito i campi a 30, 40, 50 e 60 minuti. Lo stesso stiamo facendo in Sardegna con diverse strutture. Infine, può essere interessante presentare il golf club anche agli ospiti non golfisti, perché potrebbero acquistare delle lezioni per imparare.
Nella pratica, come consiglia di muoversi?
Il consiglio che do è di aderire alla IAGTO, cioè la International Association Golf Tour Operator, di cui fanno parte tutti gli operatori del mondo del golf: tour operator, agenzie di viaggio specializzate, giornalisti, organizzatori di eventi e tornei. Ha un costo abbastanza limitato, 795 euro all’anno, ma dà accesso al database di tutti gli operatori di golf del mondo, che si possono contattare direttamente. Nel sito di IAGTO si possono inserire le proprie tariffe ed offerte speciali; quindi l’albergo può comunicare le proprie offerte. In più c’è una newsletter periodica e una porta di accesso alle fiere specializzate, per presentare il proprio hotel al pubblico e fare networking con i golf club internazionali.
E adesso c’è la Ryder Cup. Che significa per l’Italia?
Basti dire che la Ryder Cup è il terzo evento sportivo più seguito al mondo dopo le Olimpiadi e i Mondiali di calcio. Dopo averla ospitata, l’Italia diventerà agli occhi del golfista internazionale una destinazione desiderabile, mentre oggi lo è solo parzialmente. Sarà un volano di incredibile valore, e un motivo in più per gli albergatori per intercettare questo target, capace di trasformare anche il significato di bassa stagione.