Perché Google corteggia gli hotel

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“Google sta cercando di penetrare nel mercato alberghiero su tutti i versanti, ormai da diverso tempo: il tassello che gli manca è il canale diretto con gli hotel indipendenti e i boutique hotel, e le sue ultime mosse ne sono la naturale conseguenza”. È così che Osvaldo Mauro, ceo di Profiter e grande esperto di turismo online, legge l’iniziativa con la quale, già dallo scorso marzo, il gigante di Mountain View ha deciso di “regalare” agli albergatori di tutto il mondo la possibilità di pubblicare gratuitamente un link al proprio booking engine all’interno dell’ecosistema di Google Hotel Ads.

Google entra in questa filiera prima che il cliente prenoti – spiega Mauro – e quindi è per sua natura molto vicino al cliente, offrendo attualmente prodotto grazie ai grandi consolidatori: i wholesaler, le Ota, i grossisti. Il passaggio del free link è il consolidamento di un rapporto diretto con le proprietà, con il prodotto”. Uno step che è solo l’ultimo di una serie se è vero che “Google ha iniziato con il programma che permette di pagare a commissione, adottata perché gli albergatori sono più abituati a questa formula. Poi la commissione si è evoluta nel ‘paga solo a soggiorno realmente avvenuto’, quindi al netto di cancellazioni e no-show, e questo è stato un ulteriore passo. La sferzata finale è stata data in piena pandemia: ora gli alberghi collegati a Google Hotel Ads, possono pubblicizzare i loro prezzi gratuitamente attraverso link esenti sia dal costo a clic, sia dalle commissioni”.

Il free booking link

Un posizionamento, quello del “free booking link”, che – se permette all’albergo di ricevere del traffico organico verso il booking engine – vede questa parte organica oggettivamente abbastanza nascosta: per le ricerche fatte su Google è infatti necessario cliccare su “Visualizza altre tariffe”, quando sono presenti rivenditori paganti per il link, prima di poter arrivare a quello “free”. Perché? Perché la priorità, com’è comprensibile, resta sempre per le campagne a pagamento.

In più, ciò che l’hotel non corrisponde a Google in denaro, lo “paga” – almeno parzialmente – in preziose informazioni. In effetti, per usufruire della pubblicità gratuita, l’hotel deve fornire un gran numero di disponibilità e tariffe, e accetta in sostanza di condividere l’andamento delle proprie performance. Come? L’albergatore deve aver correttamente rivendicato la scheda di Google MyBusiness e possedere un partner di connettività certificato da Google, che spesso è il booking engine stesso.

“Queste innovazioni – rimarca Mauro – vanno ad inserirsi in un contesto in cui l’albergatore medio neanche prova a simulare l’esperienza di un cliente finale. Il nostro è un mercato che, nel digitale, ha visto gli albergatori capirci molto poco: hanno piuttosto subìto le scelte di chi di questo pane si ciba già da tempo, dai tour operator ai wholesaler, passando per tutta la filiera digitale”. Il prerequisito è quindi, secondo Mauro, quello di “riuscire a guardare le cose per come le guarda il cliente, perché se non riesco neanche a simulare l’esperienza di un turista che prenota da me attraverso Google, è difficile che io riesca a fare il fornitore. È un pre-requisito essenziale, perché il cliente straniero che viene in un albergo italiano prenotato da mobile via motore di ricerca ha avuto una booking experience che devo conoscere, altrimenti è difficile che io riesca a servirlo”.

Italia e mercati online

Emerge ancora una volta la scarsa propensione della hotellerie italiana per la tecnologia: “L’albergatore – rimarca Mauro – va ad una o due fiere l’anno, ascolta un po’ di cose, porta a casa qualche informazione, ma non ha tutta questa fame di conoscenza tecnologica, di competenze in materia di distribuzione diretta. Nel migliore dei casi, si affida alle aziende fornitrici di software, di consulenza, e si fa un pezzettino per volta”.

La distribuzione online

Come cambia la grande distribuzione digitale delle stanze d’albergo? “La grande distribuzione vuole il prodotto degli alberghi e il prodotto ancillary, ma non vuole entrare nell’investimento immobiliare, nella gestione quotidiana dell’albergo, nel servizio clienti: vuole solo fare commercio. E il commercio online è molto simile al trading finanziario, ha delle affinità molto importanti”. Il problema resta quello delle competenze. Mauro fa un esempio: “Ho parlato con un interlocutore che ha 150 alberghi di proprietà, con decine di persone nello staff. Eppure, se devono immettere sul mercato digitale il loro prodotto, non hanno la formazione. Come la Fiat che vuole fare una macchina elettrica fin dal concept: non ci riesce. L’unica cosa che è riuscita a fare è prendere una 500, toglierle il motore e sostituirlo con un motore elettrico”.

Come sarà il prossimo futuro della distribuzione? “I modelli più all’avanguardia ai quali guardare sono sui mercati asiatici: è lì che la vera novità sulla grande distribuzione si rende visibile, e sta nel fatto che la Generazione X e i Millennials hanno l’attitudine a prenotare il prodotto alberghiero con una frizione nulla. Scrivono su WeChat, vanno su TikTok, e con due clic hanno prenotato. Non per niente l’interfaccia proposta oggi dalle Ota rispecchia questo trend, non c’è più spazio per il formulario infinito del singolo hotel. Oggi è essenziale passare da un’interfaccia via chat o via assistente vocale, quando non direttamente dall’interazione social, che significa mettere il cliente in condizione di vedere una foto su Instagram, cliccare e prenotare. Anche Amazon potrà esprimere il suo potenziale: ma per i grandi player il travel in generale è interessante per i flussi di cash, non tanto per i margini. Una catena che ha colto il mutamento nella distribuzione è l’indiana OYO: ha fatto scuola, registrando numeri che l’hanno portata al top”.

Come muoversi meglio

Qual è il consiglio per gli albergatori? “Apprendere almeno gli elementi di base del digital marketing turistico: online ci sono migliaia di fonti di informazione gratuite, compresa la mia guida su Google Hotel Ads, molto completa e scritta con intenti divulgativi. Ma il numero piuttosto esiguo di download che registra racconta lo scarso interesse che il tema suscita negli hotelier”.

Quanto agli investimenti di base, Mauro consiglia di concentrarsi innanzitutto “sul booking engine e sui sistemi di vendita online. Vivo in Francia: qui ci sono due channel manager e tre booking engine nell’intero Paese. Si fa leva sull’uso di tecnologie proprietarie francesi, mentre in Italia ognuno va per la sua strada: una qualsiasi software house che fa siti per alberghi, pur di non comprare un booking engine da qualcun altro, si crea il suo, quindi ci sono centinaia di booking engine e decine di channel manager: una frammentazione che fa sì che per i grossi player lavorare in Italia significhi affrontare un mercato molto variegato”.

Qual è quindi l’obiettivo da porsi? “In primo luogo, resta il valore del free link, che permette una presenza diretta su Google e che va sfruttato. Il secondo passo è il pay per stay, dove si paga una commissione a Google solo a soggiorno avvenuto. È solo a questo punto che secondo me è giusto innestare le campagne vere e proprie, ovvero quelle che si pagano a clic”.

Osvaldo Mauro, Ceo di Profiter
Ceo di Profiter (gestione predittiva inventario). Membro della Google Travel Alliance, ex Direttore Intelligenza Artificiale presso AdsHotel, lavora nel turismo online dal 1998. Dopo un passato nelle Ota (Lastminute.com, Travelprice, Tui) è diventato imprenditore seriale fondando e vendendo tre startup, tra cui anche un villaggio/portale di prenotazione nel golfo di Saint Tropez.

Perché Google corteggia gli hotel
- Ultima modifica: 2021-08-31T15:59:39+02:00
da Gianluca Miserendino

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