Damiano De Crescenzo, passione Planetaria

Manager tra i più noti e apprezzati in Italia, Damiano De Crescenzo sa tenere insieme l’arte concreta della semplificazione e quella ideale di immaginare il futuro. Con l’ospite come bussola e un grande amore per tutto ciò che ruota intorno all’ospitalità
Manager tra i più noti e apprezzati in Italia, Damiano De Crescenzo sa tenere insieme l’arte concreta della semplificazione e quella ideale di immaginare il futuro. Con l’ospite come bussola e un grande amore per tutto ciò che ruota intorno all’ospitalità

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La prima cosa che capisci di Damiano De Crescenzo è che di complicare il pane non ha nessuna voglia. Se il mondo fosse filosofia, lui sarebbe quello che cerca di rendere semplice Hegel, tra troppi che vogliono far diventare difficile Cartesio. Ma piuttosto che le congetture teoretiche, De Crescenzo ha scelto l’ospitalità, con una passione che traluce in ogni passaggio della sua carriera e del suo impegno multiforme dentro e fuori dagli hotel di Planetaria, brand di cui è direttore generale. E che “governa” a modo suo, senza chiudersi in un ufficio ma restando ben saldo sul campo a fiutare l’aria e la direzione del vento dal “suo” Enterprise Hotel. E se la concretezza non gli fa difetto, come la pugliesità nell’accento, al manager di Trani trapiantato a Milano non manca neppure lo slancio del guardare all’ospite che arriverà domani come a una bussola per orientare le azioni di oggi. Perché resta vero che la ragione è nulla senza l’immaginazione. Come sosteneva Cartesio. Semplicemente.

La sua lunga carriera nell’hotellerie è il portato di una scelta fatta fin da giovanissimo?
Non da subito. Da ragazzino sognavo di diventare ingegnere, e studiavo al tecnico industriale per prepararmi in tal senso. A farmi cambiare idea fu l’estate dei miei quindici anni, quando per divertimento – e per guadagnare qualcosa – trascorsi alcuni mesi da cameriere al Lido di Jesolo. Fu grazie a quell’esperienza che scoprii la bellezza del viaggiare, del conoscere persone di tutto il mondo, del parlare più lingue, dell’uscire dai propri confini. Da lì la sterzata e l’iscrizione all’alberghiero di Brindisi, perdendo due anni di scuola già fatta e mettendo da parte la passione per la matematica e la fisica.

Aveva scoperto una passione più grande.
Sì, che mi ha messo contro la famiglia, gli insegnanti, tutti. Avevo deciso che l’ospitalità sarebbe stata la mia strada. Da quella prima estate, non ho mai smesso di alternare anni scolastici e stagioni di lavoro.

Anche all’estero.
Sì, subito una stagione in Germania, anche per imparare il tedesco. Non mi è mai piaciuto fare una cosa alla volta, ed è vero ancor oggi.

Da lì una carriera fatta di grandi brand dell’ospitalità.
Mi hanno sempre spinto la voglia di fare esperienze nuove, la curiosità e la passione. Nel mio percorso c’è stato spazio anche per un secondo lavoro, in Germania, come assicuratore. Ecco: se non avessi avuto passione, avrei continuato in quel settore, molto più remunerativo. Ma il mio cuore batteva per l’hôtellerie, e quindi mollai tutto e tornai in Italia.

Delle esperienze alberghiere fatte ce n’è una che considera più formativa delle altre?
Difficile dirlo. Non tutte sono state brillanti e positive, però per orgoglio, puntiglio e testardaggine ho tenuto duro anche di fronte ad esperienze meno “divertenti”. E mi tornano utili anch’esse, oggi che mi è fondamentale riuscire a incidere su tanti aspetti e apportare correttivi quando le cose non vanno. D’altronde, le esperienze positive lo sono già di per sé. Ma sono quelle più complesse ad essere davvero formative.

Planetaria Hotels
È un gruppo alberghiero italiano nato a metà degli anni ’90 che offre un’ospitalità sartoriale, innovativa nel servizio e altamente rifinita nel dettaglio, capace di trasformare ogni luogo in un posto unico nel cuore delle più belle città d’arte italiane – Milano, Genova, Firenze e Roma – o in suggestive location fuoriporta come il borgo antico di Trezzo sull’Adda. Ciascun hotel di Planetaria Hotels restituisce un’atmosfera diversa e rappresentativa del contesto urbano in cui si trova per proporre esperienze di viaggio uniche e indimenticabili. Planetaria è presente sul territorio nazionale con undici strutture alberghiere a quattro e cinque stelle: Château Monfort, Enterprise Hotel, Milan Suite Hotel, Residenza delle Città e Hotel Indigo Milan a Milano, Best Western Villa Appiani a Trezzo sull’Adda, Grand Hotel Savoia e Hotel Continental a Genova, Hotel Ville sull’Arno a Firenze, Hotel Pulitzer e Leon’s Place a Roma.

È arrivato a Milano tanti anni fa. Quanto l’ha vista cambiare?
La prima volta era il 1982, e non era affatto la Milano di oggi. C’erano la nebbia, lo smog, l’umidità… la città mi fece una pessima impressione. Benedicevo il fatto di poter andare a lavorare altrove dall’oggi al domani. Ero convinto che non sarei mai rimasto a Milano.

Mai dire mai.
Precisamente. Il mio primo incarico doveva essere temporaneo, Jolly Hotels mi chiese di restare sei mesi per una situazione di emergenza. Ma si sa, non c’è nulla di più definitivo delle cose temporanee. Ma sono stato anche altrove: per Radisson ho diretto l’area che comprendeva Bergamo e Brescia, e oggi in Planetaria abbiamo undici alberghi tra Roma, Firenze, Genova… quindi la metà del mio tempo la trascorro altrove. Milano sì, di base, ma non milanocentrico.

Ecco, Planetaria. Lei lavorava in Marriott, al tempo. Come è nato l’incrocio con il suo attuale brand?
È nato tutto per scherzo, con un pour parler. Un gioco che poi è andato a buon fine. Una volta di più, mai dire mai.

Se dovesse indicare il tratto più rilevante del suo modello di managerialità, quale sceglierebbe?
Ci sono più aspetti, alcuni derivanti dalla mia indole. Il primo è la semplificazione: mi riesce bene rendere agili i processi. È una cosa che mi porto dietro fin dalla scuola, dall’amore per le scienze esatte. Gli esercizi mi venivano benissimo, tanto che i professori mi chiamavano alla lavagna a sintetizzare in dieci minuti ciò che loro avevano spiegato in due ore. Ancora oggi che vado persino in Bocconi a portare la mia testimonianza – pur non essendo un accademico – avviene la stessa cosa. A volte si producono business plan da tre faldoni, quando a me bastano tre paginette, con identico risultato. Se un’azienda vuole dal management il 10% in più non servono poi così tanti discorsi: a me piace andare dritto all’obiettivo, ed è il motivo per il quale l’organizzazione creata in Planetaria è molto snella. Odio la burocrazia e i lunghi processi che ho conosciuto in passato, e che spesso servono solo a “farsi belli” oppure a tutelarsi.

Meno forma e più sostanza, insomma.
Esattamente. Un’altra mia caratteristica è che amo garantire autonomia alle persone che lavorano con me, perché sono orientato al cliente. Quando in hotel capita un errore non faccio partire la circolare con nuove regole, come succede in altri contesti: quando crei troppi vincoli, le persone non si prendono più responsabilità e questo va a scapito del cliente. Naturalmente resta fondamentale rimediare all’errore e fare formazione perché non accada più. Ma a volte è sano anche sbagliare: su dieci casi in cui do autonomia, in due si genera caos, ma da otto emergono soluzioni brillanti. Spesso anche il portiere di notte sa risolvere una situazione. In un’altra organizzazione tutto ciò non avverrebbe, quindi ho un vantaggio competitivo rispetto ai grandi brand. Abbiamo messo in piedi un modello Planetaria che è alternativo, non insegue i grandi e fa quello che gli altri non possono. Infine, mi caratterizza un ultimo elemento, più personale.

Quale?
Amo uscire dal perimetro dell’albergo per condividere, fare benchmark, confrontarmi. È per questo che frequento molto le associazioni di categoria, le scuole, le università: perché si cresce insieme. Mi piace vivere l’azienda al contempo da dentro e da fuori, anche se mi costa molto di più in termini di lavoro. Ma la passione fa sì che non mi pesi mai.

Da manager di un hotel alla gestione dell’intero brand. Riesce lo stesso ad applicare il suo approccio di prossimità?
È semplice: io sono direttore generale del Gruppo Planetaria, ma non rinuncio alla direzione dell’Enterprise Hotel. Il primo è il mio mestiere di prestigio, che sono felicissimo di aver raggiunto, ma devo avere anche la mia “macchina” da guidare. Troppi direttori generali perdono il senso della realtà e non hanno più il polso di ciò che avviene in azienda. Essere il capo dei direttori non fa per me, e resto prima di tutto un loro collega, in grado di entrare nei processi fin nel dettaglio, stando a pieno titolo sul campo. Mi sento molto più efficace e al contempo conservo il piacere di lavorare in un albergo sempre aperto, piuttosto che in un ufficio che chiude il venerdì e riapre il lunedì.

L’architetta Sofia Gioia Vedani ha spiegato che il futuro di Planetaria va nella direzione del leisure e del Sud. Dobbiamo aspettarci un resort a marchio nel Meridione?
Ci sono sempre delle opzioni sul tavolo, e sono tante: qualcuna va avanti, altre si fermano. Posso senz’altro confermare che l’interesse di Planetaria Hotels non si ferma agli alberghi di città e che è aperta anche a valutazioni leisure. Il Sud non lo escludiamo affatto, ma non siamo una compagnia che deve assolutamente “piantare la bandierina”, costi quel che costi, per strategia. Questo gruppo appartiene a una famiglia, non è speculativo, non pensa a quotarsi in Borsa o a una cessione. È un grande vantaggio, perché lavoriamo pensando al lungo termine, ai figli, ai nipoti. Piazzare le bandierine serve di più a chi lavora nel breve-medio termine.

La catena ha in portfolio hotel molto eterogenei. Cosa li unifica, oltre al payoff “Be as you are”?
I nostri alberghi sono completamente diversi l’uno dall’altro, tanto che nessuno di essi ha l’insegna di Planetaria sul tetto. Non avrebbe senso, anche se è una politica che può far perdere delle opportunità di gruppo. Ma è una scelta precisa per non creare confusione sul mercato. Il nostro messaggio è chiaro: i nostri hotel sono conosciuti individualmente e li accomuna qualcosa di intangibile, che è l’anima.

Anche gli standard non sono declinati pedissequamente nelle singole strutture.
Esatto, gli standard ci sono, ma non sono rigidissimi. Piuttosto ci sono elementi comuni. Per esempio, se il breakfast ci appassiona particolarmente, sulle piazze dove il ricavo medio è più basso non diamo affatto di meno. L’eccellenza resta tale sempre, così come la filosofia del cliente come bussola che orienta ogni azione. Questo ci guida a prescindere dal contesto e dal numero di stelle del singolo hotel.

L’intenzione resta quella di non andare sui cinque stelle lusso?
Sì, è il nostro mood che rende incongruo quel posizionamento, il nostro approccio è meno ingessato e più umano. Anche se resta valido il mai dire mai.

C’è qualcosa che non ha ancora fatto e che le piacerebbe fare?
Se mi chiede se ho qualche sogno nel cassetto da realizzare tra trent’anni, le rispondo di sì. Mi piacerebbe dare un contributo al turismo italiano. Ci sono tante forme per farlo, perché ritengo che possa migliorare molto sul piano formativo e gestionale. L’Italia ha tutto per primeggiare nel turismo – natura, storia, enogastronomia, destinazioni – ma poi è quinta al mondo e terza in Europa. Il problema non sta nella promozione, ma nella gestione. Vorrei che chi gestisce il nostro patrimonio guardasse al turista come io guardo all’ospite.

Il turista come bussola.
Sì, se ci si concentrasse sulle esigenze di chi viene a visitarci, cambierebbe tutto.

In questo la sua Puglia può essere un modello?
Certo. L’accoglienza autentica fa parte del nostro Dna, e ciò che ci rende unici è il lifestyle. È per questo che la Puglia è desiderabile anche in inverno, anche quando piove: per il suo modus vivendi. Chi sceglie la Puglia lo fa per il mare, il cibo, i paesaggi, i colori. Ma non si accorge che il vero attrattore è l’approccio alla vita.

Damiano De Crescenzo
Nato a Trani, dopo aver maturato esperienze all’estero in catene alberghiere internazionali e diretto importanti strutture in Italia, Damiano De Crescenzo ha assunto l’incarico di direttore generale di Planetaria Hotels, gruppo alberghiero con undici hotel in Italia. Collabora con le Università del Turismo e la Bocconi per il Master di Economia del Turismo. Nel 2012 è stato premiato come Hotel Manager dell’anno dalla EHMA. Nel 2016 è stato insignito dell’onorificenza di Cavaliere e nel 2020 di quella di Ufficiale dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana. Nel 2018 ha ricevuto il Premio Excellent, il riconoscimento italiano al turismo. In Manageritalia Lombardia è consigliere, membro di giunta e coordinatore del Gruppo Heritage Lab per la valorizzazione del patrimonio Unesco lombardo. Nella European Manager Association è Deputy National Delegate. In Assolombarda è presidente della Sezione Hospitality, vicepresidente del Gruppo Turismo e membro del Consiglio Generale. In Confindustria è componente del Consiglio Generale di Federturismo. Manager tra i più noti e apprezzati in Italia, Damiano De Crescenzo sa tenere insieme l’arte concreta della semplificazione e quella ideale di immaginare il futuro. Con l’ospite come bussola e un grande amore per tutto ciò che ruota intorno all’ospitalità, dentro e fuori le mura di un hotel.

Damiano De Crescenzo, passione Planetaria - Ultima modifica: 2024-02-22T09:13:42+01:00 da Gianluca Miserendino

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