Ezio Indiani, Nuovo Hotel Paradiso

Da bambino ammaliato dalle storie dell’ospitalità di lusso a general manager del Principe di Savoia di Milano: stile di vita, pensieri, carriera e filosofia di Ezio Indiani, volto tra i più riconosciuti e amati dell’hotellerie tricolore
Da bambino ammaliato dalle storie dell’ospitalità di lusso a general manager del Principe di Savoia di Milano: stile di vita, pensieri, carriera e filosofia di Ezio Indiani, volto tra i più riconosciuti e amati dell’hotellerie tricolore

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C’era una volta un bambino di provincia. Che restava incantato, ogni volta, ad ascoltare i racconti dei compaesani che avevano la fortuna di lavorare tra le stanze opulente e i saloni principeschi degli hotel del bel mondo veneziano. Storie di luci e cristalli, di stelle del cinema e intrighi, di sfarzo e mondanità: favole, per quel ragazzino trasognato. Che in lui hanno disegnato un’intenzione. Inciso una vocazione. Perché si sa, i desideri dei bambini danno ordini al futuro. E oggi, tanti anni dopo, Ezio Indiani è dall’altra parte di quello stesso sogno: adesso è lui il narratore di mille racconti fantastici, custoditi nelle molte vite professionali che nel frattempo ha messo insieme lavorando negli alberghi più esclusivi del mondo. Come in un Nuovo Cinema Paradiso che invece del cinema trova la sua musa nell’ospitalità, declinata in tutti i ruoli possibili. E se il Totò Cascio del capolavoro di Tornatore finiva per commuoversi nel rivedere tutti i baci tagliati via dalle nostre esistenze, il general manager del Principe di Savoia usa invece il sorriso, per dar corpo a una nostalgia che non si sofferma troppo a guardare al passato. Ma che piuttosto sa farsi motivo per mettere in scena, con il lavoro di ogni giorno, un suo personalissimo Nuovo Hotel Paradiso.

La sua carriera non è il frutto delle “sliding doors” del destino, ma di una precisa volontà.
Sì. Ho perso il papà che avevo sei anni e mia madre e mia zia, per mantenersi, avevano aperto un bar. Ebbene, tra i clienti del locale c’erano anche due camerieri dell’Excelsior e del Des Bains di Venezia, che nei giorni di riposo tornavano al paese e ci raccontavano di quello che vivevano nei loro magnifici alberghi. Ricordo vividamente il me stesso bambino che ascoltava affascinato le loro storie fatte di luci, marmi, cristalli, champagne, caviale e ospiti illustri. Fin da allora, da quei racconti, non ho mai avuto dubbi: volevo vivere anch’io quel mondo fantastico e avventuroso che i miei compaesani facevano brillare davanti ai miei occhi. Le serate, il lusso, le stravaganze, i fuochi d’artificio: era una favola di cui volevo far parte. E quando ci sono riuscito, ho capito che non mi sbagliavo. Ancora oggi sono felice della mia scelta.

La favola resta tale anche vissuta da dentro, quindi.
Esatto, continua ad essere così anche oggi: quello dell’ospitalità non ha mai smesso di essere un mondo fantastico, per me. 

Le sue prime esperienze sono state all’estero.
Nel periodo scolastico ero già andato a fare esperienza a Peschici, sul Gargano. Poi sono partito per la Germania, all’Atlantic Hotel di Amburgo, dove sono rimasto un anno per quella che è stata una esperienza magica. Non conoscevo nemmeno il tedesco, se non qualche parola imparata lavorando durante le vacanze scolastiche, e l’ho imparato andando alla Berlitz: nel giro di quattro-cinque mesi parlavo un discreto tedesco, non proprio fluente, ma accettabile.

Dopo l’anno ad Amburgo, ho trascorso sei mesi a Monaco, all’Hotel Bayerischer Hof. Poi di nuovo un passaggio nel Nord Italia.
Ho fatto una stagione al Cristallo di Cortina, poi sono partito per l’Inghilterra, al London Hilton, dove sono rimasto quattro anni e ho esperito un vero e proprio training industriale. Hilton aveva dei programmi di formazione e di sviluppo del personale molto significativi, e dal momento che non vedevo il mio futuro come cameriere, ho lasciato la posizione che avevo maturato all’epoca – nel ristorante di punta del London Hilton – e ho iniziato il programma di management. Sono sceso di livello, ma era un passo obbligato per crescere professionalmente.

Si lavorava sei giorni alla settimana, dodici ore al giorno: non per caso siamo partiti in trenta e siamo arrivati alla fine del training in tre. Ho tenuto duro perché ho sempre avuto nel sangue questo lavoro, a 360 gradi: il servizio, l’amministrazione, il management. Ogni lavoro che ho fatto mi è piaciuto, compreso quello di lavapiatti: un ruolo che è sbagliato definire così, dal momento che lo stewarding si occupa di ben altre cose che lavare i piatti, e ha responsabilità rilevanti sull’inventario e sul servizio.

La sua serie di esperienze è davvero globale, da Roma alla Repubblica Dominicana.
L’Eden di Roma doveva essere chiuso, ristrutturato e rilanciato. Io ero acerbo, in fatto di negoziazioni sindacali, ma con i consigli giusti siamo riusciti a chiuderlo senza un giorno di sciopero, e a rifarlo in ogni suo aspetto: e da allora, è uno dei grandi successi di Roma. Ricordo che al party ufficiale di apertura, nel marzo del ’95, c’era la famiglia Forte al gran completo e personaggi illustri, del mondo anglosassone e non: ricordo Margareth Thatcher, personalità del Times e del Financial Times, politici italiani di spicco come Giulio Andreotti…

Ha chiuso il cerchio con i racconti che ascoltava da bambino di provincia.
Sì. Adesso ero io che tornavo al paese e raccontavo agli amici quello che vedevo accadere in albergo, i personaggi che lo frequentavano e le cose curiose che accadevano, pur senza entrare troppo nel privato. Sono famoso per i miei aneddoti anche qui in hotel: quando succede qualcosa ho sempre il ricordo di un episodio analogo che ho visto accadere in passato, in qualche parte del mondo. 

Qual è il tratto che contraddistingue un hotel gestito da Ezio Indiani? 
Tutte le direzioni che ho avuto – dall’Eden di Roma all’Hotel des Bergues a Ginevra, passando per la vice direzione all’Hyde Park di Londra, il Villa d’Este e, ora, il Principe di Savoia, hanno un tratto in comune. Amo creare intorno a me un team di persone motivate e di valore, con le quali lavorare nella stessa direzione per poter raggiungere gli obiettivi della compagnia, dell’albergo e miei. Se il personale è motivato i risultati vengono automaticamente, e i clienti lo percepiscono. Mi piace lavorare con etica, valorizzando le capacità individuali: quando si prende un albergo in mano si trova già un’organizzazione, il personale c’è già, e quindi bisogna saper valorizzare le risorse umane presenti e fare gli inserimenti giusti.

Qual è la chiave per riuscire nella missione?
Come direttore, mi sono sempre reputato il custode degli standard della compagnia. Per fortuna ho sempre lavorato per brand di lusso, dove gli standard sono molto simili tra di loro. Chiaramente ogni filosofia aziendale è leggermente diversa dall’altra, però nessuna è mai andata apertamente in contrasto con le mie caratteristiche manageriali. Capire la visione, le problematiche e gli obiettivi di una compagnia è un elemento che va valutato prima di accettare l’incarico: non per caso ho preferito rinunciare ad alcune opportunità perché la filosofia non collimava con la mia. Se devo essere il guardiano dei valori di un brand li devo recepire, condividere e portare avanti. 

Anche le cose che si sceglie di non fare raccontano di noi.
Noi siamo l’insieme delle nostre scelte. Abbiamo sempre il bivio di fronte a noi, ogni giorno, e in ogni momento ci sono delle decisioni da prendere. E in base alla strada che scegliamo creiamo un profilo, uno standard, un modo di lavorare e di vivere. Contano l’istinto, la capacità, la scala valoriale personale. 

Oggi lavora per Dorchester Collection.
Dorchester Collection è di proprietà di Bia, Brunei Investment Agency, il fondo sovrano dello Stato del Brunei, che ha acquisito gli alberghi e fondato questa compagnia di gestione. Negli anni ha acquistato hotel iconici in giro per il mondo: l’Hôtel Plaza Athénée e Le Meurice a Parigi, The Dorchester a Londra, l’Eden a Roma e il Principe di Savoia a Milano. A questi si sono aggiunti il The Beverly Hills Hotel e l’Hotel Bel-Air a Los Angeles e il Coworth Park vicino ad Ascot, in quella che era la residenza del sultano, una delle più grandi tenute private d’Inghilterra. Poi c’è il 45 Park Lane, di fronte al Dorchester di Londra. Adesso stiamo per aprire a Dubai una struttura che non sarà di proprietà ma in management, The Lana: l’apertura avverrà tra una decina di mesi, nel 2023. 

La catena ha tra le ipotesi qualche altra apertura italiana? 
C’era un’opportunità a Venezia, che purtroppo non si è concretizzata. Ma continuiamo a concentrarci sulla città lagunare. E come seconda priorità, che non esclude l’altra, guardiamo alle grandi destinazioni turistiche: il Lago di Como, anche lì con trattative non arrivate in porto, la zona di Portofino, la Costiera Amalfitana.

Da figlio della provincia cremonese, come guarda a Milano, di cui dirige uno degli hotel più importanti? 
Sono di Calvatone, un piccolo paese della bassa cremonese, e mia mamma abita a Casalmaggiore. Ci siamo spostati lì, dove si è più vicini a Parma che non a Cremona. Per me Milano è la capitale morale d’Italia, teatro di tutto quello che succede di interessante, di nuovo e innovativo in fatto di moda, design, farmaceutica, finanza, ristorazione. È una delle due città che più amo in Italia, insieme a Roma, dove ho lavorato quasi dieci anni tra il Cavalieri Hilton e l’Eden: l’ho vissuta intensamente, divertendomi, e ricordo ancora le serate a Trastevere, i weekend a Fiumicino e le giornate trascorse sul Terminillo a sciare. Ancora oggi lo sci è tra i miei hobby preferiti, insieme al tennis.  

Da storico dirigente di EHMA, qual è il primo pregio dell’Italia dell’ospitalità?
L’italiano è ospitale per vocazione. Le altre nazioni possono avere standard molto alti, valori importanti, qualità di servizio, ma il sorriso e la semplicità del servizio italiano non hanno eguali. Non per caso sono tantissimi i maestri italiani che hanno portato il nostro istinto all’ospitalità in giro per il mondo. E non parlo solo di direttori generali ma anche di maître, barman, concierge. Figure che hanno fatto sempre la differenza negli alberghi, veri e propri alfieri della via italiana alla ricettività.

Di converso, abbiamo anche dei difetti?
A volte siamo un po’ superficiali. E chiacchieroni: ci capita di perderci nel nostro gesticolare, in discorsi inutili che non vanno al sodo. Dovremmo essere un po’ più pratici. Ma è un peccato veniale, il nostro: restiamo padroni di casa inimitabili.

Carta di identità
Nato a Calvatone, in provincia di Cremona, nel 1952, Ezio Indiani dal 2005 è il general manager dell’hotel Principe di Savoia di Milano, parte di Dorchester Collection. Dopo la formazione all’istituto alberghiero di Gardone, ha avuto una lunga serie di esperienze nell’ospitalità, in Italia e all’estero, in Paesi come Germania, Inghilterra, Svizzera, Repubblica Dominicana. È stato insignito di numerosi riconoscimenti, il più recente dei quali è quello di Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana. Dal 2010 Indiani è anche Delegato Nazionale Italia di EHMA – European Hotel Managers Association, di cui è stato anche Presidente Europeo per il mandato 2019-2022.
Ezio Indiani, Nuovo Hotel Paradiso - Ultima modifica: 2022-11-24T15:34:21+01:00 da Gianluca Miserendino

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