Giancarlo Carniani, il futuro è rock

Manager alberghiero di lungo corso e “inventore” di fiere e accademie, Giancarlo Carniani tiene insieme tre passioni: quelle per l’ospitalità, la musica e il futuro. Storia di un toscano che odiava la matematica
Manager alberghiero di lungo corso e “inventore” di fiere e accademie, Giancarlo Carniani tiene insieme tre passioni: quelle per l’ospitalità, la musica e il futuro. Storia di un toscano che odiava la matematica

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Chiedere a Giancarlo Carniani se sia più appassionato di ospitalità o di musica rischia di ingenerare il funesto effetto “vuoi più bene a mamma o papà”. Anche perché non c’è antitesi alcuna, tra le stanze e le note. Lo ha spiegato lui stesso, che in ogni staff alberghiero debba celarsi lo spirito dei Beatles: persone di talento tutte diverse tra loro, che si compensano e il cui totale è maggiore della somma delle parti. Ma Giancarlo Carniani, rock e hotel a parte, è soprattutto un innovatore. Un innamorato del futuro. Il general manager del brand To Florence – ideatore di storiche fiere di settore come di un’accademia di formazione – è un artigiano dell’hôtellerie che non si prende mai troppo sul serio. E che ama lavorare sull’esistente. Ma ancor più su quello che ancora non c’è. Perché va bene Yesterday, ma c’è soprattutto un tomorrow tutto da immaginare.

Una vita professionale nell’ospitalità. C’era una precisa volontà fin da ragazzo?
È stato più un caso, il frutto delle sliding door della vita. Ai miei tempi nella scelta degli studi superiori contava molto l’orientamento della famiglia: non ti lasciavano scegliere da solo, come fanno invece i ragazzi di oggi. La mia era una famiglia di onesti lavoratori, mio padre era un autista di autobus, e già negli anni ’70 gli capitava di accompagnare dei turisti italiani in Svizzera. Erano gli albori del turismo, e fu lui a indirizzarmi verso l’istituto alberghiero: ci intravide qualche futura possibilità di crescita. E così già a quattordici anni trascorrevo i fine settimana a fare il cameriere da Ebe, un hotel-ristorante di San Piero a Sieve.

Un’alternanza scuola-lavoro in anticipo rispetto ai tempi.
Sì, mi divertivo molto, e ogni fine settimana guadagnavo le mie belle 5.000 lire. Era un settore nel quale trovare lavoro era molto facile: da qui la spinta di mio padre verso l’alberghiero. In fondo a me bastava che a scuola non ci fosse la matematica. Anche se l’avrei ritrovata anni dopo, sotto forma di revenue management, e me ne sarei appassionato.

Dopo l’alberghiero ha avuto delle parentesi in altri settori?
Solo ospitalità. Decisi di andare nel Regno Unito, una prima volta a studi ancora in corso e la seconda da diplomato. Complessivamente ho trascorso quasi due anni tra Scozia e Inghilterra, dapprima in un paesino sperduto al centro della Scozia – che è stato fondamentale per il mio inglese, dal momento che non c’era traccia di altri italiani – e poi a Edimburgo, dove ho lavorato in quello che oggi è l’Hotel Balmoral.

Di proseguire gli studi nessuna intenzione?
Per la verità la voglia di fare l’università ce l’avevo, ma l’offerta accademica in tema di turismo e ospitalità era davvero desolante. Ad ogni modo, nel frattempo a cambiare le cose arrivò una telefonata di mio padre mentre mi godevo una vacanza in Spagna con degli amici, appena tornato dall’esperienza di lavoro in Regno Unito. Mi avvisava che sarei dovuto tornare immediatamente in Italia, perché mi avrebbero assunto al ricevimento del Grand Hotel Baglioni, a Firenze. Pensai un po’ arrabbiato “ma insomma, una vacanza me la volete far fare?”. Ma poi presi le mie carabattole e tornai a Firenze. E presi servizio al Baglioni. Era il 1982, l’estate dei Mondiali di Spagna.

Da lì, una carriera nei grandi brand dell’ospitalità.
Sì, non mi sono più fermato: ho lavorato per Pullman, Ciga, Sonesta… I dieci anni trascorsi al Brunelleschi – hotel indipendente e bellissimo – sono stati fondamentali, perché mi hanno aperto le porte della carriera direttiva, grazie a un direttore con cui sono entrato subito in sintonia. Ho iniziato come segretario di ricevimento e ne sono diventato vicedirettore.

Oltre a questa, quale esperienza alberghiera le ha dato di più?
Sono stato anche imprenditore, dal momento che ho avuto un albergo in gestione per otto anni… Ma se devo citare l’esperienza più formativa scelgo quella con Sonesta, catena americana che mi ha insegnato tecniche e processi che allora, alla fine degli anni ’90, in Italia erano da fantascienza. Ma anche Ciga mi ha insegnato molto, in termini di regole e disciplina.

Crede che per un diplomato all’alberghiero di oggi una carriera come la sua sia possibile?
Certo che sì, e anche in tempi molto più rapidi. Per me dall’esordio alla direzione sono passati quindici anni, anche perché c’era una mentalità che chiedeva ai giovani di saper attendere il proprio turno. Oggi un ragazzo di talento, ben formato e con la giusta attitudine può arrivare senza problemi ai vertici in due, tre anni, specie se è disposto a spostarsi in giro per il mondo, come capita con le grandi compagnie alberghiere.

Come procede la sua nuova creatura, HIA – Hospitality Innovation Academy?
Sta andando molto bene, ne siamo davvero soddisfatti. Siamo al secondo anno didattico, quindi l’anno prossimo i primi studenti andranno in Svizzera a concludere il loro ciclo triennale. Hanno già affrontato gli stage e fatto un percorso importante.

Arrivano tutti dalle scuole alberghiere?
Curiosamente tra gli iscritti al primo anno nessuno veniva dagli istituti alberghieri, malgrado ci fossimo molto concentrati su di essi per l’orientamento e la promozione della Academy. Molti ragazzi sono arrivati grazie al passaparola degli albergatori, qualcuno rappresentava una seconda generazione che cercava chi potesse aiutarlo a crescere. E HIA è nata proprio dal fatto che non c’era un vero e proprio spazio per l’ospitalità nel sistema formativo italiano: ci si doveva accontentare di percorsi di studio sul turismo molto frammentari e poco strutturati. Il karma che mi guida – anche in questa occasione, insieme ai miei soci – è quello di far diventare realtà qualcosa che prima non c’era. Siamo felici di esserci riusciti.

Quante sono queste nuove leve?
Attualmente sono 11 ragazzi, provenienti da tutta Italia: il nostro progetto non prevede un’Accademia da 200 persone, ma tra qualche anno, al top, saremo lieti di ospitarne una cinquantina. Posso dire che è più semplice guidare un albergo che sviluppare un progetto di formazione.

Più facile organizzare una Bto?
Certo, perché una Bto finisce, la formazione invece mai, ti insegue anche di notte. Però dà grandissima soddisfazione vedere i nostri ragazzi che – durante gli stage – ricevono già proposte di assunzione dai grandi hotel che li ospitano. Le nuove generazioni hanno obiettivi e modi di pensare molto più rapidi.

Sono fantastici nella creazione di un brand, nell’utilizzo dei social, nell’apprendere i principi dell’accoglienza. Il difetto “generazionale” che rileva, se c’è?
A volte sono un po’ troppo sicuri di se stessi e, come ci dicevano i nostri professori a scuola, qualche “musata” ogni tanto fa bene. Ma i ragazzi di oggi sono svegli, capaci e dotati di tecniche di apprendimento diversissime dalle nostre. Studiano meno sui libri e di più su una molteplicità di strumenti.

Molti albergatori si chiedono se non ci sia troppa offerta formativa per i manager, e poca per le funzioni di base.
Che siano molto necessarie figure nei ruoli base dell’ospitalità è verissimo, e io stesso nel mio ruolo di manager alberghiero ho vissuto due annate molto complicate, quanto a carenza di risorse umane. Ma mancano anche i manager, posso garantirlo. E ne mancano tanti: f&b manager, sales manager, front office manager… tutte figure per niente semplici da trovare. Me lo conferma il fatto che in diverse città – Firenze compresa – siamo stati costretti a rubarceli fra di noi, con offerte sempre più importanti: è il segnale che il mercato ne offre pochi. C’è bisogno di crearli, di formarli e di farli lavorare. Sapendo bene che poi magari andranno all’estero, e bisognerà ricominciare da capo.

Che risposte ha avuto dai colleghi albergatori nell’ideazione di HIA?
Gli applausi non sono mancati, ma nel concreto spesso gli albergatori italiani si perdono. In alcuni casi sono molto bravi a gridare “al lupo, al lupo”, ma poi sono un po’ restii a farsi parte attiva quando viene loro proposto di attivarsi per un progetto costruttivo.

Lei ha frequentato un corso alla Cornell in età adulta. Lo consiglierebbe ai suoi colleghi?
Per me è stata un’esperienza illuminante, vissuta con altri general manager di alberghi importantissimi, come il Caesar Palace di Las Vegas. Posso dire questo: Cornell ha alcuni docenti straordinari – capaci di insegnare nozioni importanti da trasferire in hotel – e bravissimi a far lavorare le persone in gruppo. Poi non tutto è eccellenza, come per ogni cosa, e c’è senz’altro un grande tratto di marketing che hanno saputo crearsi negli anni. Ma è un’esperienza straordinaria, in termini di organizzazione e di campus. Dispiace davvero tanto che in Italia non ci sia una cosa del genere, quando avremmo docenti di pari livello e tutte le premesse giuste, dal momento che siamo un Paese con risorse turistiche illimitate. Ma ci manca la costruzione del marketing, siamo incapaci di metterci insieme. Qui a Firenze si direbbe che siamo sempre guelfi e ghibellini. È lo stesso motivo per il quale un Paese con un turismo così forte non ha catene internazionali da primi posti. Le ha la Spagna, e noi no.

Da creatore di Bto, cosa pensa del Metaverso e dell’Intelligenza Artificiale applicati al turismo?
Il metaverso non ha sfondato, almeno per il momento: io, e altri come me, non l’ho mai considerato una particolare risorsa per il turismo. L’intelligenza artificiale è tutta un’altra storia: ci saranno task umane che saranno completamente assorbite dalle macchine. Ma non bisogna affatto averne paura: l’IA ci darà più tempo per le interazioni umane, e non dobbiamo prenderla in modo sbagliato. Negli eventi che portiamo avanti, oltre alla divulgazione, mettiamo sul tavolo la pratica: abbiamo materialmente bisogno di metterci davanti a un computer per far vedere agli addetti ai lavori come possono usare l’IA e come possono – grazie ad essa – guadagnare tempo, strutturare una campagna di marketing, stilare dei budget. È uno strumento formidabile. Io stesso sono ancora agli inizi, però mi sto rendendo conto che si tratta di un nuovo mondo.

Nel 2021 mi disse che musicalmente era nella “fase R.E.M.”. E oggi?
L’anno scorso ho festeggiato i miei sessant’anni regalandomi il maggior numero di concerti possibile. Ho visto artisti che piacciono a me, altri che piacciono a mia figlia e alla mia compagna. Ho visto Rolling Stones, Peter Gabriel, Coldplay, Laura Pausini, Harry Styles, Florence and the Machine… Ecco, se devo citare un gruppo, oggi scelgo gli Arctic Monkeys. Sono capaci di unire le generazioni, e sul palco mi hanno ricordato l’energia dei Police. Se avessi 15 anni come mia figlia, sarei fissato con loro.

A proposito, sua figlia ha scelto da sola il suo percorso di studi?
Sì, mia figlia ha scelto da sola, fa il liceo musicale. Suona fin da piccola batteria e basso, e adesso anche il contrabbasso e il pianoforte. Tra l’ospitalità e la musica, dal Dna paterno ha assorbito la seconda.

Musica a parte, c’è qualche altra distrazione nelle sue giornate? Ama lo sport?
Sono tifoso della Fiorentina ma non vado spessissimo allo stadio. Piuttosto, sono uno che sogna di andare a Wimbledon e che l’altra notte si è svegliato alle quattro per vedere giocare Sinner in semifinale all’Australian Open. E sono convinto che la finale con Medvedev sarà complicata. Ma scommetto che Jannik ce la farà.

(ndr: Poche ore dopo l’intervista, Sinner ha vinto il suo primo Slam. Quando si dice avere talento per le cose a venire)

Hospitality Innovation Academy

È un percorso formativo sviluppato in partnership con Hotel Institute Montreux al fine di fornire le competenze tecniche necessarie per diventare leader nei settori dell’ospitalità e del turismo con particolare attenzione ai processi innovativi e alle relazioni con il capitale umano. Il modello didattico di HIA – Hospitality Innovation Academy e dei suoi programmi formativi si basa su modelli di apprendimento attivi che favoriscano l’interazione tra studenti e docenti, preparando gli allievi a utilizzare le nozioni apprese come fonte di soluzioni operative. Attraverso queste modalità, gli studenti saranno in grado di trasformare le competenze acquisite in effettiva operatività professionale già durante il corso, reinterpretandole e applicandole nel contesto lavorativo. L’attività didattica si propone di sviluppare non solo competenze teoriche, ma soprattutto abilità pratiche e la capacità di lavorare sia in gruppo che individualmente fornendo gli strumenti necessari per abituare gli studenti a prendere decisioni e a sviluppare una capacità di leadership. Per fare questo il modello di HIA propone un diverso approccio con lezioni partecipative:
Attività didattica attiva che coinvolge gli studenti tramite lavori individuali o di gruppo, guidati da tutor (esercitazioni, discussioni di casi, simulazioni, role playing, testimonianze, ecc.).
Utilizzo di modalità didattiche blended, che combinano l’apprendimento sotto forme diverse (partecipazioni attive a fiere e convegni,
Attività didattiche extra-aula, in alcune occasioni con il supporto di un tutor, per verificare concretamente la capacità degli studenti di applicare le competenze attraverso esercizi pratici, risoluzione di casi e problemi applicativi. Il corso ha durata triennale: due anni a Firenze e uno a Montreux. Dal 2024 saranno attivi anche corsi formativi più brevi di durata annuale con specializzazioni.

Chi è Giancarlo Carniani

Nato a San Piero a Sieve nel 1963, vanta una lunga carriera nell’hospitality. Ha lavorato in catene nazionali e internazionali, come Pullman, Cigahotels e Sonesta International Hotels. Dal 2010 è direttore generale di To Florence Hotels, gruppo che comprende Villa Olmi Resort, Mulino di Firenze e Hotel Plaza Lucchesi, tutti a Firenze. Appassionato di tecnologia e digitale, è tra gli ideatori di Bto – Buy Tourism Online e ne è stato il coordinatore dalla prima edizione del 2008 fino a Bto | Ten, con la responsabilità della direzione scientifica e del concept artistico. È uno dei co-fondatori di Hicon – Hospitality Innovation Conference, evento dedicato alle più avanzate tecnologie nell’universo del travel. Nel 2021 ha lanciato, assieme ad alcuni partner anche internazionali, HIA | Hospitality Innovation Academy. Ha frequentato un GMP Master alla Cornell University ed è docente certificato per Swiss Education Group. Dal 2012 è anche analista italiano per l’importante istituto di ricerca americano PhoCusWright.

Giancarlo Carniani, il futuro è rock - Ultima modifica: 2024-03-26T11:51:59+01:00 da Gianluca Miserendino

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