Se ‘buen ritiro’ non fosse diventato una formula abusata, questa sarebbe l’occasione giusta per usarlo. Dello stesso avviso parrebbe essere il chirurgo belga che, da quando La Fustaia ha aperto, nelle due settimane centrali di agosto prenota tutta la struttura e viene qui a fare vita ritirata; il mare è abbastanza vicino da percepirne l’influenza nella vegetazione ma quel tanto lontano da non scorgerlo nemmeno. A dominare è il bosco, anzi, la fustaia, che in linguaggio botanico designa quel luogo in cui gli alberi hanno raggiunto la piena maturità forestale.

Per oltre cento anni la natura si è distesa indisturbata sui ruderi del palazzotto di caccia dei Conti Lamotte e ne ha avvolto la serra tanto da nasconderla allo sguardo. La ristrutturazione è cominciata dal riguadagnarsi gli spazi, sfrondare i rampicanti, dare nuova luce alle piante, sommerse dal sovrappiù della vegetazione selvatica. Da lì, a ricostruire, il passo è durato dieci anni. Sembrano tanti, e lo sono. 

Quando si mette mano a edifici storici gli ostacoli burocratici sembrano labirinti fatti apposta per perdervicisi dentro ma Lucia, la proprietaria, non si è mai arresa. Si è fermata, molte volte, ma è sempre ripartita perché non ha mai perso di vista la la strada verso il traguardo finale.

“Volevo a tutti i costi che questo ex palazzo di caccia, appartenuto agli avi di mio marito, diventasse la mia casa e fin da subito l’idea era quella di farne un luogo dedicato all’accoglienza. Eppure quando due anni fa è arrivato il primo ospite, un compositore di New York, la cosa mi ha sorpresa”.

Da due anni a questa parte il flusso dei clienti non si è mai interrotto: “Persino durante il lockdown le camere – due ampie suite – sono sempre state occupate da manager che venivano qui a lavorare in smart working. Non me lo sarei mai aspettata”. Ciò che forse attrae più di tutto, oltre allo charme indiscutibile dell’architettura e degli arredi, è una certa atmosfera selvatica che porta a sentirsi isolati dal resto del mondo.

La flora spontanea coabita in modo armonico con le essenze piantumate, la serra recuperata sembra l’angolo segreto in cui ci si nascondeva da bambini, la vecchia cisterna dell’acqua piovana – oggi riconvertita in piscina a sfioro – fa da refrigerio nelle calde giornate estive.

Tutto ‘naturalmente’ inserito in un angolo di Sarzana lontano dal ‘già visto’, sospeso nel tempo.

Il merito va, oltre che del disegno architettonico e al gusto nel rendere ogni angolo unico, alla sensibilità di Lucia che, oltre alle colazioni, allestisce per i suoi ospiti anche cene a richiesta. Pochissime persone per volta (e non sempre), in cui le mise en place e le ricette del territorio sono preparate in modo sempre diverso, a seconda dell’estro e dell’ispirazione del momento.

Sui social, quando pubblica nuove foto, usa un hagstag che riassume lo spirito che guida ogni sua nuova idea e quello del posto: “#lamiasemprenuovameraviglia”. È così: e chi viene qui non può non cogliere questa atmosfera e portarsela dentro, almeno per un po’. Lucia l’ha riversata prima in un recupero rispettoso delle tracce del passato, quindi nei complementi che animano gli spazi di gusto e ricordi.

Dell’antico casino di caccia, oltre allo stemma nobiliare che ancora campeggia sulla porta di entrata e introduce a quella che un tempo era una stanza-voliera “in cui il bizzarro conte Lamotte lasciava liberi gli uccelli da richiamo”, restano le gelosie dell’ex fienile che spolverano di luce l’ampio living open space a tutta altezza.

Tre i colori dominanti per l’intera casa: un grigio con una nuance di viola a scaldarlo, il crema e il nero: ‘le tinte di Chanel’. Il crema è usato in sette velature sovrapposte per le pareti: l’effetto ricavato oltre alla morbidezza materica, è una sensazione di vintage moderno. È difficile da definire, ed effettivamente il termine non esiste, ma non si potrebbe spiegare diversamente la sensazione. “Volevo che la casa continuasse a narrare la sua storia e mantenesse la sua anima, ma in uno spazio moderno perché la storia va avanti e sarebbe sciocco non usare le tecnologie più attuali, come la domotica, per esempio”.

La concessione al contemporaneo si rivela anche negli oggetti di design sparpagliati nello spazio living. Sono sapientemente mischiati a pezzi appartenuti alla famiglia nobiliare, soprammobili acquistati da brocante della zona, pezzi di artisti del luogo, libri d’arte e di botanica, vecchie ampolle di Baccarat, credenze con piatti scompagnati adagiati su ortensie essiccate, i cari stampi di latta per budini, cornici barocche apparentemente dimenticate alla base delle pareti, fotografie in bianco e nero della figlia fotografa, ma anche arredi di design e lampade minimal. Il tutto in un caleidoscopio di gusti e stili che si rincorrono in un equilibrio armonioso. Ogni oggetto ha la sua collocazione nello spazio in un bilanciamento di vuoti e pieni, toni e colori, presente e passato.

Lo stesso charme dell’interno si protende verso l’esterno che esterno non è; le ampie vetrate ne colgono con un sol colpo d’occhio l’estensione e quell’aspetto così ‘savage’ dato dalla vegetazione ligure: mirto, essenze aromatiche, ginestre, pini marittimi e le peonie, tanto care a Lucia da volerne fare un profumo.  

D’estate, con le porte aperte e le tende che svolazzano come una volta facevano gli uccelli da richiamo del conte Lamotte, entrano le essenze della macchia mediterranea, anche loro mescolate una con l’altra, insieme alla luce, che inonda l’ambiente. E gli dà vita.

L’essenza della storia nell’ex casino da caccia a Sarzana - Ultima modifica: 2021-10-04T12:41:16+02:00 da Silvia Bigliardi

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