Lorenzo Maraviglia: “Ricomincio dal Collegio”

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Di Lorenzo Maraviglia colpisce la capacità di prendere molto seriamente le cose che fa, ma senza mai prendersi troppo sul serio. Dote rara, questa, che persino Albert Einstein inseguì a lungo, prima di arrivare alla linguaccia. Il neo-general manager di Collegio alla Querce, esordio italiano di Auberge Resorts Collection, è persona che sa affiancare alla passione una uguale dose di ironia. Tanto universale che lo immagini a suo agio al tavolo di una cena coi divi di Hollywood così come sugli spalti della curva nord di San Siro, o in fila all’anagrafe di Catania. L’uomo che al loto bianco ha preferito il giglio rosso delle sue radici ricomincia da una sfida. E qui ce la racconta.

L’hôtellerie era nel suo destino o è stata frutto delle porte scorrevoli della vita?
Quello degli hotel è un mondo che ho incrociato strada facendo. Sono di Montecatini Terme come la famiglia di Sirio Maccioni, il più grande ristoratore italiano in America, e subito dopo la scuola ho deciso di buttarmi – come si fa a vent’anni – e di seguirlo a New York per fare esperienza come cameriere, o per meglio dire come busboy, aiuto cameriere, dal momento che il mio inglese era pessimo. Quindi la mattina prendevo lezioni per impararlo, e per il resto della giornata facevo caffè e cappuccini.

L’ospitalità era ancora lontana.
Avevo tante idee per il mio futuro ma nessuna aspirazione di fare hospitality, anzi. In America chi lavora nei ristoranti è sempre un “wannabe” di qualcos’altro: un poeta, un attore, un giornalista che nell’attesa di realizzarsi fa il cameriere. E anch’io mi vedevo stilista, oppure uomo d’affari a Wall Street… Tutti i giorni passava un treno. Non avevo una passione smisurata per ciò che facevo, ma mi riusciva bene: sapevo gestire una sala, pur con il mio inglese di fortuna, e sapevo aggiungere valore alle giornate di chi stava in vacanza. Ai ragazzi di oggi – ispirati dai social media e dal mantra di fare della propria passione un mestiere – dico sempre di badare a ciò che si riesce a fare meglio. Coltivare passioni non significa necessariamente farle diventare un lavoro. Poi, se capita, meglio ancora. Ma non può diventare un chiodo fisso.

Torniamo ai caffè al ristorante.
Passato lo scoglio dell’inglese, sono riuscito a diventare restaurant manager, nel giro di pochi mesi, e ho iniziato a viaggiare con i Maccioni, aprendo Le Cirque in Messico e dando così avvio alla mia carriera nel F&B management.
A 23 anni sono tornato in Italia, per il mio primo ruolo da maître al Principe di Savoia di Milano, rimanendo tre anni, per poi scegliere di partire di nuovo: non era ancora arrivato per me il momento di fermarsi. Sono andato in Cina, che in quegli anni – nel 2006, prima della piena comunicazione globale – era davvero “lontana”. Parlavo con i miei genitori cinque volte in un anno, e scrivevo lettere a mia madre, come negli anni ’60. Ero felicissimo della scelta: con Ritz Carlton avevamo aperto cinque hotel e avevo imparato il mandarino, per entrare appieno nella cultura di quel bellissimo Paese. Mi vedevo lì per tutta la vita finché, nel 2009, è arrivata una telefonata.

Chi era?
Giorgio Armani, che conoscevo dai miei anni a Milano. Stava aprendo il suo primo hotel a Dubai nel palazzo più alto al mondo, il Burj Khalifa. L’emirato in quegli anni non era noto come oggi, e me lo figuravo come una distesa di sabbia desertica. Ma un ventinovenne non può dire di no ad Armani. Quindi sono andato, facendo esperienza di un salto non indifferente: gestivo sei ristoranti, due negozi e i banchetti, con 256 collaboratori, un esercito. Tre anni bellissimi, prima di prendere parte all’apertura di Milano e di tornare a lavorare con Ritz Carlton per qualche anno. Poi è arrivata Four Seasons, prima per cinque anni a Dubai – dove sono passato al management alberghiero puro – e poi per altri cinque anni a Taormina. Un progetto molto, molto interessante, con un mercato ancora tutto da creare e che in pochi anni ci ha visto trionfare come miglior hotel al mondo e location di elezione di una serie tv globale come The White Lotus.

Il ruolo di gm di una struttura del genere è molto invidiato. Perché lo si lascia?
Per me è stata una scelta abbastanza naturale, perché credo che nella vita professionale contino le persone, più che i brand. E Cristian Clerc, l’attuale Ceo di Auberge, era stato per lungo tempo a capo di Four Seasons: mi ero trovato benissimo a lavorare con lui, per me era una fonte di continua ispirazione. Così, quando ho saputo che cercava una persona per dirigere il Collegio alla Querce, per me è stato naturale chiudere il cerchio dopo 25 anni, tornando a lavorare con lui in un progetto molto ambizioso. Auberge è una compagnia certamente più piccola di Four Seasons, molto forte in America e che entra per la prima volta in Europa con i progetti di Firenze, Ginevra e Londra. La mia sfida è quella di portare il brand ad affermarsi nel Vecchio Continente, con un percorso tutto da costruire, piuttosto che continuare il lavoro di conferma e rinforzo in uno dei resort di punta di un’azienda formidabile come Four Seasons, che è già nel gotha dell’ospitalità.

E quindi Firenze.
La città, sul segmento alto, non parte da zero, ma sta vivendo un nuovo Rinascimento del lusso. C’è tanto che sta arrivando, oltre ad Auberge: c’è Baccarat, che arriverà il prossimo anno, e c’è la Villa San Michele di Belmond, che presto tornerà ad aprire, oltre al Salviatino. Per giunta, siamo tutti “vicini di casa”. Nella zona a nord di Firenze che guarda alle colline di Fiesole si sta creando un nuovo fulcro del lusso, quasi che il mercato chiedesse un’alternativa appena fuori da un centro storico sempre più congestionato. Qui iniziano le colline, e cambia tutto, clima compreso, pur essendo a 8 minuti di macchina e 19 minuti a piedi dal centro storico, in un contesto idilliaco, tra viti ed oliveti, con una vista spettacolare sulla città. Qui ho visto sin dal primo momento l’opportunità di fare un prodotto unico.

Che offerta è quella del Collegio?
Abbiamo 83 camere, la metà rispetto ad altri, numeri quasi da boutique hotel, e al contempo ambienti imponenti per regalare l’esperienza dell’autentico comfort e dell’esclusività. All’esterno abbiamo la piscina più grande di Firenze e spazi degni degli eventi che vi si terranno. Il tutto nel contesto di quello che per tre secoli è stato un vero collegio, con un fascino e una personalità che lo rendono davvero unico. Una perla che oggi riapriamo – anche a chi l’ha frequentata da scolaro – sotto forma di hotel, con l’ufficio del preside che però, da luogo di reprimende che era, è diventato il nostro bar e cigar lounge. Elemento che da solo – dico spesso scherzando – ha rappresentato un buon motivo per lavorare al Collegio, da amante dei buoni sigari quale sono.

Quale sarà il primo punto di differenza rispetto ai competitor?
Mi rendo conto che anche le espressioni che ho utilizzato – esclusivo, boutique – possono risultare fuorvianti. Perché la mia prima intenzione è quella di aprire il resort alla città e far diventare Collegio alla Querce l’albergo dei fiorentini. Un mercato domestico che non impatterà sull’offerta di camere ma su quella del food, degli eventi, del tempo libero e del buon vivere. A partire dal comfort più banale, quello del parcheggio enorme e con valet gratuito, per arrivare a chicche del calibro della cappella rinascimentale sconsacrata e del teatro all’interno delle mura. Elementi davvero unici, se si pensa che il teatro, completamente rinnovato, potrà ospitare concerti, eventi business, serate a tema e quant’altro: tutte prerogative rivolte in primo luogo ai fiorentini, per un lusso che si sposa con la spensieratezza dell’adolescenza e della scuola. In fondo questo resta, questa struttura. Anche il nostro ristorante principale – La Gamella – richiama la merenda dei ragazzi, e ognuno degli outlet F&B è lontanissimo dall’idea di hotel restaurant, dove alle dieci di sera si apparecchia per la colazione. Ognuno ha un suo concetto e una sua personalità. E anche qui puntiamo in primo luogo sui fiorentini.

Quale valore aggiunto sente di portare nei luoghi in cui lavora?
È difficile rispondere a questa domanda. Mi viene riconosciuta la capacità di portare nel team di lavoro un senso di tranquillità e di piacevolezza quasi cameratesco. In hotel si lavora davvero tanto, e quindi è giusto farlo con rigore ma anche con serenità, perché non sia un’attività che toglie tempo alla vita ma che ne diventa parte. Nell’ospitalità non operiamo pazienti a cuore aperto e siamo qui a divertirci, a fare un bel lavoro a contatto con persone che troviamo nel momento più sorridente della loro vita, in vacanza. Siamo ambasciatori dell’hotel anche nei giorni off, e quindi è bene esserlo nella maniera più autentica possibile.

Come sistema di ospitalità, in Italia, cosa possiamo imparare dall’estero?
Probabilmente in altre industry avremmo tanto da importare da altri sistemi nazionali, in termini di organizzazione o di efficienza, ma per quanto riguarda l’ospitalità credo che non ci manchi davvero niente. Perché abbiamo il Paese più bello del mondo e perché la genuinità e l’autenticità che siamo in grado di offrire non ha paragoni nel mondo. E sono elementi che fanno la differenza, ancor più nel lusso, dove non si compra il metro quadrato in più ma il sorriso aperto di un concierge, il benvenuto cordiale di un manager, l’attenzione in più di uno staff e l’autenticità di una colazione.

Nel tempo libero cosa ama fare?
Sono un grande appassionato di calcio e tifosissimo dell’Inter, che seguo allo stadio ogni volta che posso, anche all’estero. E poi dedico il mio tempo alla famiglia e alla mia bimba di quattro anni. Mia moglie, svedese, avrebbe voluto chiamarla Sienna ma poi – all’anagrafe di Catania – l’ho amorevolmente “fregata” e ho registrato nostra figlia con il nome di Siena.

Una volta di più, ha scelto la Toscana.
Esatto, nella vita come nel lavoro.

Carta di identità
Nato nel 1980 a Montecatini Terme, Lorenzo Maraviglia ha iniziato la sua carriera negli Usa, grazie al suo legame con la famiglia di Sirio Maccioni, il ristoratore patron del celebre Le Cirque di Manhattan. Ispirato dalla sua storia e spinto dal sogno di vivere a New York, ha iniziato la sua carriera come cameriere mentre conseguiva una laurea in Hospitality and Business Management alla Cuny di New York. La sua carriera è poi continuata con le aperture dell’Armani Hotel nel Burj Khalifa di Dubai e del Ritz Carlton di Pechino e poi in Four Seasons, dove è stato prima alla direzione Food & Beverage del Four Seasons Resort Dubai e successivamente hotel manager del Four Seasons Hotel Dubai International Financial Centre. Prima di approdare a Collegio alla Querce, Maraviglia ha ricoperto, per quattro anni, il ruolo di general manager del Four Seasons Hotel Taormina, dirigendo l’albergo sin dall’apertura e contribuendo in modo decisivo all’affermazione della struttura.
Lorenzo Maraviglia: “Ricomincio dal Collegio” - Ultima modifica: 2025-06-24T13:18:01+02:00 da Gianluca Miserendino

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