A volte le sliding doors, quelle che sparigliano giorni e destini, non sono affatto porte. Cancelli, casomai. È così che è capitato a Elisa Peroli: anni trascorsi felicemente a lavorare sotto la stessa, gloriosa bandiera e poi, in forza di un incontro, la scelta di cambiare. Con un cancello aperto a far da preludio e una villa trecentesca nella campagna fiorentina, tra il fiume e Brunelleschi, a prendersi scena e cuore. E a render viva un’intenzione, quella di non cedere neppure alla comfort zone che più comfort non si può, quella del lusso da far tremare i polsi di Four Seasons. Fatto sta che oggi Elisa vive la sua ripartenza, a Villa La Massa. Nuovo il brand, e nuovo anche il ruolo: general manager, stavolta dopo una vita a occuparsi di grandi eventi, ristorazione ed esperienze. D’altronde “rinascere” è verbo che si può coniugare compiutamente solo qui, nella Firenze dei geni immortali, di là dall’Arno e tra gli alberi.
Dal lusso globale di Four Seasons a quello più raccolto di Villa d’Este Hotels. Come è andata?
Dopo venticinque anni in Four Seasons ho sentito in me la voglia di mettermi alla prova. Era arrivato il momento di uscire dall’agio della mia meravigliosa comfort zone. E quando mi hanno prospettato l’opportunità di diventare general manager di Villa La Massa, la prima reazione è stata di curiosità. Conservo vivida l’immagine del cancello della villa che si apre di fronte a me: è stato amore, ed emozione, a prima vista. Ho cercato di immaginare fin da subito come avrei potuto contribuire a far splendere ancora di più questa bellissima realtà piena di storia e bellezza.
È così che è nata la volontà di fare la mia parte per rivedere in chiave più contemporanea l’ospitalità, gli eventi e i servizi di questa oasi senza tempo. Villa La Massa è davvero una chicca, immersa nella natura e con l’Arno a lambirla: piuttosto che un hotel, la definirei come un resort, con i suoi 10 ettari di parco.
Com’era iniziato il suo rapporto con l’ospitalità?
Ho amato molto questo settore fin da ragazza. Dopo l’istituto alberghiero, nel corso di uno dei miei primi stage, incontrai un grande chef veronese, Giancarlo Gioco, che per me ha rappresentato una figura molto importante, cui sono grata ancor oggi e che purtroppo ci ha lasciati: mi prese sotto la sua ala protettrice, e non me ne sarei mai andata da lì, perché ero felice. Poi, un giorno, mi disse una frase profetica, anche se lì per lì mi ferì: secondo lui ero destinata a diventare una manager, ma per farlo avrei dovuto andar via, all’estero, a fare esperienza in una grande catena. E io seguii il suo consiglio, partendo per Londra ed entrando in Four Seasons, dapprima come line staff e poi come manager. Per dieci anni ho girato il mondo – Los Angeles, Sidney, Doha – sviluppando una grande passione per gli eventi, o per meglio dire per le esperienze, nelle quali ho avuto modo di riversare la mia creatività.
Poi un primo ritorno in Italia.
Sì, al Four Seasons di Firenze, dove per dieci anni sono stata responsabile degli eventi. E dove sono diventata mamma, prima di tornare di nuovo all’estero, al Four Seasons Astir Palace Hotel di Atene, per quattro anni.
E ora il ritorno a Firenze, che ormai per me è casa. Pur essendo veneta.
Sì, di Verona. Ma Firenze me la ricorda molto, per le sue dimensioni e la sua monumentalità, col fiume che la attraversa, le colline, il verde, i cipressi. È davvero casa.
Come sintetizzerebbe lo spirito di Four Seasons?
Per me è stata soprattutto una grande famiglia, che ha puntato concretamente su di me, investendo nella mia formazione e accompagnandomi in ogni passo verso i miei obiettivi. Se tornassi indietro, rifarei la stessa scelta. Sono molto grata a questo grande brand.
Per il quale si è occupata di eventi, ma anche di ristorazione.
Sì. Il cibo è importantissimo, è un simbolo molto potente e che riassume in sé il concetto di condivisione, di ospitalità e di famiglia, sia personale che professionale. Ho una grande passione per i prodotti, per le piccole aziende locali capaci di produrre eccellenze. Che vanno valorizzate, territorio per territorio. Sono legati al cibo anche alcuni degli eventi che ricordo con maggior piacere, tra quelli che ho contribuito a realizzare negli anni di Four Seasons. Specie con gli ospiti stranieri, bisogna sempre interrogarsi su come rendere la loro esperienza italiana davvero autentica, andando oltre gli standard cui siamo ormai abituati. E quando per alcuni eventi siamo riusciti ad avere accesso a dei musei privati di Firenze, associando la bellezza dell’arte toscana a una gastronomia di altissimo livello, con la musica a unire il tutto, né è venuta fuori un’esperienza davvero immersiva e totalizzante.
Cose che possono succedere solo in Italia.
Sì. Il punto di forza dell’ospitalità italiana è proprio l’Italia. Siamo fortunati e a volte non ce ne rendiamo conto. Di converso, il nostro sistema ricettivo pecca un po’ quando dà per scontato il customer service: per livello di servizio pensiamo troppo spesso di essere i migliori, ma non è così. E non è una questione di numero di stelle: altrove c’è sempre la volontà di fare il miglior caffè, di offrire il servizio in più, di compensare la mancanza di storia e bellezza con un servizio al top. Da noi a volte manca quest’intenzione.
Qual è la principale sfida del suo nuovo ruolo?
Sono una persona molto collaborativa. Non mi metto mai in posizione gerarchica, e qui a Villa La Massa il mio ruolo è quello di guidare il team con l’obiettivo comune di migliorare il servizio agli ospiti. La mia sfida è capire nel profondo cosa si è fatto finora e trovare una chiave per innovare un prodotto che già c’è, e che è già bellissimo. E per innovazione non intendo una mera questione di tecnologia: si tratta di trovare delle chiavi nuove. Non sono qui per cancellare, perché credo molto nella storia di questo luogo. Sono di sostegno, ecco, per custodire e innovare a un tempo. Senza pensare che non ci saranno errori, ma volendo imparare da essi.
Che cos’è per lei il lusso?
Il vero lusso sta nell’anticipare prima che venga chiesto. Un’esperienza alberghiera è luxury quando un team capisce chi ha di fronte e soddisfa un desiderio che non è stato ancora espresso. Talvolta, non ancora desiderato.
Insomma, “liberamente al dimandar precorrere”, parafrasando un fiorentino.
Sì, chiedersi cosa può far piacere a quel singolo cliente. Cosa può farlo sorridere. Specie nelle piccole cose, è un atteggiamento che fa la differenza. Perché significa prendersi cura.
Cosa fa per prendersi cura di lei, nel suo tempo libero?
Amo fare la mamma della mia bambina, che ha sei anni. E cucinare. Ma trovo il mio relax anche nella lettura: faccio parte di un book club internazionale, con il quale ci troviamo ogni mese. E amo molto – quando è stagione – raccogliere funghi, come mi ha insegnato mio padre.
Ha uno scrittore preferito?
No, leggo libri diversissimi tra loro e mi piace affrontare anche testi che di mio non sceglierei. Ma i miei libri preferiti sono quelli di gastronomia: ora sto leggendo un vecchio volume trovato nella libreria di famiglia. È “La Toscana di Ruffino – Il gusto di stare insieme”, della collezione Cucchiaio d’Argento. Lo trovo delizioso.
Di nuovo la Toscana. Ha un suo angolo del cuore, a Firenze?
Sì, Ponte Vecchio. Sarà banale, ma ne sono pazzamente innamorata. Anche quando piove o c’è nebbia, camminare su Ponte Vecchio è pura emozione. È il mio luogo preferito di Firenze, senza alcun dubbio. Oltre a Villa La Massa, naturalmente.