Luca Finardi, GM Mandarin Oriental, Milan: il lusso della porta accanto

Una filosofia che fa da ponte tra oriente e occidente, con gli hotel pensati per entrare in dialogo con la città e per raccontare un luxury “diverso”, figlio di un’idea di esclusività che non vuole escludere nessuno. Intervista al general manager del Mandarin Oriental, Milan Luca Finardi
Una filosofia che fa da ponte tra oriente e occidente, con gli hotel pensati per entrare in dialogo con la città e per raccontare un luxury “diverso”, figlio di un’idea di esclusività che non vuole escludere nessuno. Intervista al general manager del Mandarin Oriental, Milan Luca Finardi

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Nel gioco delle libere associazioni di parole, in pochi accosterebbero al concetto di “lusso” quelli di “grazia” e “umiltà”: sarebbe forte il sospetto di una distonia voluta, di uno spariglio di carte per pura accademia. Lo fa invece con sincera convinzione Luca Finardi, manager di una delle catene alberghiere più esclusive del mondo eppure capace – come la divina Coco Chanel – di guardare al luxury come a un bastione di eleganza a difesa da ogni volgarità, e mai dalla necessità. Tanto che questo veneto cresciuto in Toscana non vuole ragionare nemmeno per un attimo in termini di prestigio e di cariche, pur assommando a quella di general manager del Mandarin Oriental, Milan anche la vicepresidenza delle operations in Italia del brand di Hong Kong. “Non sono importanti i titoli, ma le persone”, spiega Finardi, che ha respirato ospitalità fin dalla più tenera età, mischiando nursery e conciergerie, passepartout e biberon. E scalando i gradini del settore alberghiero partendo da quello più basso, a rendere omaggio al mito della gavetta all’americana ma senza rinunciare a uno sguardo sul mondo tutto italiano. E a un approccio alla vita che si rifà a quello, ipnotico e ancestrale, portato dal vento d’Oriente.

Carta di identità
Veneto, cresciuto in Toscana e Liguria, Luca Finardi proviene da una famiglia di hoteliers e ha vent’anni di esperienza nel mondo hospitality. Nel 2005, a soli 32 anni, diventa il più giovane direttore d’albergo in Europa alla guida dell’Helvetia & Bristol di Firenze. Dopo aver lavorato per prestigiosi brand come Hilton, Rocco Forte e Belmond, a luglio 2014 viene nominato general manager del Mandarin Oriental, Milan, di cui ha seguito il preopening e il posizionamento tra i migliori hotel in città. Parla fluentemente inglese e francese ed è appassionato di vino e buona cucina. Ama giocare a golf, nuotare e viaggiare.

Come è arrivato all’hotellerie?
Credo di esserci nato dentro. Avevo appena trenta giorni quando mia madre mi portò per la prima volta nell’hotel di proprietà di mia nonna, e credo di non esserne più uscito. E quando mi diplomai, nel 1992, per me fu naturale pensare all’ospitalità come mio settore d’elezione: la mia era una passione sincera, che volevo trasformare in lavoro. Iniziando dal basso, come in quelle storie di gavetta che si vedono nei film. E come è giusto che sia.

Quali i primi passi?
Ho iniziato come portiere di notte in un 3 stelle, a Firenze. Da lì sono passato al ricevimento, in un 4 stelle. Nel 1998 la svolta: mi sono trasferito a Londra per entrare in Hilton, un’esperienza che mi ha dato tanto in termini di formazione ad alto livello. Sono diventato reception manager di un importante 4 stelle londinese, e poi sono rientrato in Italia, nel 2000, di nuovo a Firenze, per l’apertura del Savoy di Rocco Forte Hotels di Piazza della Repubblica, dove sono diventato capo ricevimento e in seguito front office manager. Nel 2005, a 32 anni, ero general manager di un 5 stelle in pieno centro, l’Helvetia & Bristol.

Ecco il lusso.
Sì. Dopo 3 anni di ottimi risultati, sono stato intervistato per il ruolo di direttore generale del Villa San Michele, all’epoca Orient Express, oggi Belmond. Dopo un biennio molto soddisfacente, mi è stata proposta l’apertura dei due Belmond in Sicilia, il Grand Hotel Timeo e il Villa Sant’Andrea, come area manager. Una scommessa vinta insieme a un team eccellente: i due hotel hanno rivitalizzato una destinazione come Taormina, meravigliosa ma all’epoca un po’ fuori dalle mappe del lusso, al contrario di oggi.

E ancora di Mandarin Oriental neanche l’ombra.
È arrivata nel 2013: quasi per gioco, ho partecipato al recruitment del primo hotel italiano della catena. Eravamo in tanti, Sono stati necessari 12 mesi di interviste e test, e alla fine sono stato scelto. Mi sono lanciato con passione in questa sfida, aprendo il primo Mandarin Oriental a Milano, destinazione straordinaria e sulla quale gli albergatori sono riusciti a fare squadra, portando la città a un grande livello di incoming.

La “primavera milanese”.
Sull’onda dell’Expo, abbiamo puntato sulla città e sui suoi gioielli, ragionando in termini di sistema ricettivo e non di singoli alberghi. Anche nelle relazioni con i media e con gli agenti di viaggio, abbiamo messo al centro la destinazione, anche grazie ad un’amministrazione cittadina lungimirante. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: oggi Milano attrae, oltre al turismo culturale, anche quello che cerca fashion, food o design. In una parola sola, il turismo del lifestyle. Senza dimenticare il business travel, che è altrettanto importante.

Dopo Milano, il Lago di Como.
Nel 2018 siamo riusciti ad ottenere l’accordo di management del CastaDiva, brandizzandolo nel 2019 come Mandarin Oriental Lago di Como. La proprietà è stata lungimirante e ha dimostrato grande spessore, investendo su di noi e sulla struttura. Oggi abbiamo un gioiello straordinario con il bravissimo Samuel Porreca alla direzione e Massimiliano Blasone come executive chef.

Che ruolo ha la formula del management nel vostro portfolio?
Abbiamo complessivamente 36 hotel: 16 sono di proprietà o in joint venture, gli altri in management, compresi quelli di Milano, Como, Dubai, Bodrum, Istanbul. È una formula sulla quale punteremo molto in futuro, anche se rispetto a Four Seasons – che lavora solo col management – restiamo un mix: alcuni nostri alberghi, tra i più celebri, sono di proprietà. Parlo di Londra, Parigi, Hong Kong, Monaco. Oppure Madrid, dove siamo in joint venture al 50%.

In che cosa la vostra catena è davvero differente dalle altre?
Abbiamo una duplice priorità: una sostenibilità autentica e il voler entrare in contatto a ogni livello con la comunità della destinazione. I nostri sono hotel che diventano parte integrante del luogo che li ospita, e che per loro natura non sono mai chiusi in sé stessi o talmente esclusivi da non essere a disposizione della città. Facciamo parte dell’environment locale, a pieno titolo. Per esempio, il nostro albergo ha tre entrate, e sono tutte aperte. Non vogliamo che entrando in un 5 stelle lusso ci si senta in difficoltà o a disagio.

Con che risultati, dai “concittadini”?
Basterà dire che nei nostri F&B outlet, di cui è executive chef Antonio Guida, il Seta e il Mandarin Bar & Bistrot, il 75% dei clienti è milanese. Anche la nostra spa è aperta alla città. Credo che possiamo dire di essere un punto di riferimento per un pranzo, una cena, un trattamento, un massaggio, e di conseguenza lo diventiamo anche quando i milanesi vogliono ospitare degli amici provenienti da altrove. È il nostro modo di proporci, in maniera diversa da chi punta solo sull’esclusività.

L’altra differenza è la sostenibilità. Che però è sulla bocca di tutti.
Il nostro modo di metterla in pratica si lega però al supporto concreto alla comunità locale. Cerchiamo di abbracciare iniziative ed eventi ad hoc per i giovani, i bambini, le persone con disabilità. Organizziamo e supportiamo anche tornei di golf a scopo benefico, e abbiamo assunto persone che avevano avuto problematiche per arrivare in Italia, o con la legge, e che oggi si sono pienamente reinserite. Per noi è sostenibilità anche l’apertura verso chi ha bisogno di supporto, ed è un impegno che sentiamo molto forte. Poi c’è la sostenibilità più classica, certamente. Ad esempio, abbiamo eliminato totalmente le plastiche monouso. Anche nelle minuzie: da noi persino le pellicole per conservare il formaggio sono biologiche. Ci teniamo ad utilizzare solo energia proveniente da fonti naturali. E poi c’è il food, con un vastissimo uso di materie prime a km zero.

Cosa c’è di profondamente orientale, in Mandarin Oriental?
Cerchiamo di metterci due cose: la prima è l’umiltà, su ogni progetto e nei confronti di tutti. E poi la grazia. Che è un approccio, uno stile, un modo di porsi. Che passa anche da un saluto fatto in un certo modo, o da una certa maniera di offrire il proprio biglietto di visita. Una filosofia che trova nella spa il luogo di elezione per sprigionarsi del tutto.

In cosa ogni hotel del brand è diverso dagli altri del gruppo?
In ogni destinazione desideriamo offrire autenticità. È una missione che inizia fin dal concept delle strutture. Per l’albergo di Milano, il gruppo ha sposato pienamente l’idea della proprietà di scegliere Antonio Citterio, emblema della milanesità, proprio per restituire a chi visita l’hotel quel sense of place che ci sta a cuore, e che è necessariamente diverso dal Mandarin Oriental di Barcellona di Patricia Urquiola o da quello di Parigi, opera di Jean-Michel Wilmotte. Sulla ristorazione, il nostro Bar & Bistrot offre risotto alla milanese e cotoletta, mentre al Seta c’è una cucina italiana gourmet più particolare, degna di un due stelle Michelin. Il F&B è al centro delle nostre operazioni, con sfaccettature local importanti ma nel contesto di una consistenza dello stesso livello, in tutto il mondo. Ci crediamo fermamente: standard molto ferrei su servizi, sicurezza e procedure, dalla tempistica per ricevere un caffè a quella di un check-in, passando per la pulizia delle stanze o le dotazioni. Ma per ciò che concerne l’esperienza, ogni hotel deve assolutamente essere diverso.

La prossima apertura italiana sarà in un contesto urbano o countryside?
Credo entrambe.

In una sola struttura?
No, ci sono più destinazioni nel radar.

Nella sua giornata è più general manager o vicepresidente?
Entrambi. Mi sto dedicando anche a supportare il nostro Development team per possibili nuove aperture, oltre al supporto del progetto sul Lago di Como, insieme al direttore. Dobbiamo fare in modo che i nostri colleghi crescano e diventino i general manager del futuro: è per questo che qui a Milano la nostra hotel manager, Stephanie Greger, sta gestendo sempre più le operazioni.

Siete tra le catene con più ristoranti stellati. I locals si sono convinti a cenare in hotel?
Sì, la resistenza a mangiare in un hotel è venuta largamente meno. Merito dei concept che siamo in grado di offrire, e delle garanzie che gli hotel hanno introdotto nell’ultimo biennio. Oggi nei nostri ristoranti ospitiamo moltissime persone che vivono in città, e un gran numero di turisti che alloggiano in altri hotel.

Cosa ama fare nel tempo libero?
Sono una persona molto semplice. Mi piace assistere mia moglie nel suo progetto imprenditoriale, nell’ambito fitness e wellness: amo stare con lei, e naturalmente con i miei figli. E prendo molto sul serio il golf: gioco da quattro anni e ho un handicap 15, che non è proprio male. Anche se si può sempre migliorare.

Umiltà, grazia ma anche dedizione.
Proprio così. Tre volte oriente.

Luca Finardi, GM Mandarin Oriental, Milan: il lusso della porta accanto - Ultima modifica: 2022-03-08T18:23:06+01:00 da Gianluca Miserendino

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