Sulla Presolana con Ernesto…

L'essenza del turismo è l'emozione. Così è stato per me nel 2000 quando salii sulla Presolana,sulle Alpi Orobie bergamasche, in compagnia di una guida alpina. Un ricordo prezioso per scacciare la malinconia della quarantena ma anche epr ricordare l'essenza più intima del turismo: emozioni, ricordi...
La Presolana
L'essenza del turismo è l'emozione. Così è stato per me nel 2000 quando salii sulla Presolana,sulle Alpi Orobie bergamasche, in compagnia di una guida alpina. Un ricordo prezioso per scacciare la malinconia della quarantena ma anche epr ricordare l'essenza più intima del turismo: emozioni, ricordi...

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La Presolana

Ernesto Cocchetti è una guida alpina. 35 anni, alto, magro, allampanato, gli occhi chiari, il volto sereno, con il cappellino granata a forma di fungo appoggiato sulla testa sembra più uno spiritello uscito dalla selva che un montanaro duro e incallito. E’ una vita che Casto Iannotta, che le montagne ama guardarle più che scalarle, mi propone di andare in cima alla Presolana con una guida di sua fiducia. Casto utilizza spesso le guide alpine per i programmi di avventure che propone alle aziende che salgono in alta val Seriana, sopra Bergamo, ai 1000 metri di Bratto, per godere dell’ospitalità dell’Hotel Milano e intraprendere corsi di formazione sempre più eterodossi, dove l’esperienza sul campo integra quando non sostituisce del tutto la formazione in aula.
Ernesto passa alle 7.30 di una mattinata fredda e secca di inizio febbraio. Il passo della Presolana è a soli 3 chilometri dall’albergo. Alle 8 siamo già sul sentiero che si inoltra nel bosco.
Il terreno è duro e gelato, la temperatura si aggira sullo zero gradi, il fiato si trasforma in continue nuvolette di vapore. Si cammina tranquilli, il passo lento e costante.
Sbuchiamo fuori del bosco, dopo una lunga salita serpeggiante, per attraversare un grande vallone innevato. La neve scricchiola sotto gli scarponi. La Presolana giganteggia sulla valle e sulle Prealpi Orobiche con le sue guglie di roccia grigia costituite di autentica dolomia. Sembra incredibile che una montagna dolomitica sia scivolata fin quaggiù attraverso i milioni di anni, distaccandosi come un solitario viandante dalle greggi di cime dolomitiche che costellano il Cadore a cavallo tra Veneto, Trentino e Alto Adige. Dalla cima della Presolana con un buon cannocchiale si può scorgere la Madonnina che torreggia sulla cima del Duomo di Milano, 90 chilometri più in basso, nel cuore della Pianura Padana.
La neve è dura e gelata e bisogna sempre stare attenti a non scivolare. Il sudore accompagna il lento respirare e lo avverto sotto i tre strati di maglie in “patagonia” e il pail che costituiscono il mio corredo da montagna.
La grande vallata imbiancata sale abbastanza ripida verso le pendici della cattedrale di roccia che caratterizza la cima della Presolana. Stiamo attraversando la valle di sbieco, avvicinandoci progressivamente a un piccolo bivacco arancione e a una grotta che si apre proprio dove roccia e neve si sposano.
La grotta ha un nome, Pagani, e una sorpresa: ospita una sorta di presepe di ghiaccio di stalattiti e stalagmiti che formano un curioso assembramento di forme che richiamano un piccolo arengo di fantasmi traslucidi. La volta esterna della grotta è arredata con cortine di ghiaccio che richiamano il tendaggio di un teatro d’epoca o di una camera d’albergo. Tra un mese il sole marzolino scioglierà il consesso e i fantasmi di ghiaccio torneranno a essere fantasmi della memoria salvo riapparire il prossimo inverno.
Davanti alla grotta ci imbraghiamo per poter affrontare il tratto più impegnativo dell’ascesa. Prima dovremo affrontare una parete di roccia, poi dei canali di ghiaccio. Ernesto, che non conosce le mie abilità o presunte tali, sale per primo e poi mi mette in sicurezza quando salgo a mia volta. Sulle roccette sono a mio agio grazie alle tante ferrate che ho inanellato negli ultimi anni. Visto che salgo bene, Ernesto evita di mettermi in sicurezza in continuazione per accelerare l’ascesa. L’unico vero ostacolo si presenta nel passaggio da una parete all’altra, con pochi appigli. Per fortuna è stata collocata una breve catena d’acciaio di un paio di metri. Un colpo di reni e si va oltre.
Il bello arriva nel canalino ghiacciato. La pendenza supera i 60 gradi e anche i 70. E’ quasi verticale. Ci fosse neve abbondante, si salirebbe con i ramponi che entrano nella parete come nel burro. Invece la superficie di neve è minima e sotto c’è ghiaccio vivo. I ramponi grattano giusto la superficie, senza affondare. Anche la piccozza morde appena la superficie. Si sale ma con una certa trepidazione, almeno da parte mia.
Il tempo è strano perché è plumbeo senza minacciare il brutto. Le previsioni davano addirittura il sole, che per ora è ben nascosto oltre lo strato di nuvole che ci accompagna. Il grigiore esalta la selvatichezza dei luoghi. Non abbiamo ancora incontrato nessuno.
Salgo a quattro zampe, Ernesto invece sale tranquillo, sempre in piedi, la piccozza in pugno come fosse un bastone da passeggio. Io mi massacro le nocche continuando a pestare la piccozza sulla neve dalla parte del becco. La salita è faticosa ma non pericolosa. Quel che mi lascia un attimo in pensiero è la discesa, se dovremo tentarla in quel canalino.
Ernesto è stato sull’Himalaya, non ha un grammo di grasso addosso e sale lieve. Siamo alti uguali ma gli rendo 14 anni e dieci chili buoni buoni, non sono mai stato sull’Himalaya e nemmeno penso che accadrà. Ogni venti passi mi fermo. Mai come quando si sale in verticale si sente il peso di ogni chilogrammo in eccesso, lasciando perdere gli anni che passano…
Infine si arriva sulla cresta terminale e di lì alla croce di ferro della cima. Ernesto, cinque metri prima della croce, mi fa passare. Sono il primo in vetta. Siamo a 2400 metri di altezza, 1200 metri più in alto rispetto al passo della Presolana da dove siamo partiti. E’ mezzogiorno.
Siamo circondati da cime più basse, tutte imbiancate. A occidente le brume che si stanno alzando rivelano il lago di Lovere, dalla parte opposta spicca l’Adamello, con il grande ghiacciaio adagiato sulla montagna come una pelliccia, e più lontano ancora il Monte Rosa. A un tiro di balestra il Monte Pora, dalla parte opposta rispetto al passo della Presolana. Sotto di noi spicca la valle di Scalve percorsa da una strada assai tortuosa, ingentilita nell’ultimo ventennio da alcune gallerie che l’hanno resa meno ostica. E’ un concerto di cime aguzze e valli profonde, le cime screziate di neve, le valli brunite dal gelo invernale.
La discesa punta diritta sul canalino che abbiamo scalato in salita. Scendo tremebondo. Ernesto mi insegna un nuovo passo, che non conoscevo. Si tratta di approfittare proprio del ripido mettendo i piedi uno dietro l’altro scendendo all’indietro come una ballerina che incrocia le caviglie danzando e utilizzando la piccozza come terzo punto d’appoggio. Si scende con la fronte a monte. Sembra un passo assurdo e invece mi rendo subito conto che dà una stabilità eccezionale e consente ai muscoli delle gambe di restare sempre rilassati.
Sopra Santa Maria Maggiore, in Val Vigezzo, trovai una volta due guide che mi insegnarono un passo che ho definito della tarantola: consente di correre come un ragno sopra grandi lastroni di pietra lisci e ripidi da far paura. Si tratta di spostarsi sulle palme delle mani e sulle suole degli scarponi tenendo il ventre alzato e la testa rivolta verso il cielo. Anche in quel caso sembrava un consiglio da matti e invece mi ritrovai ad andare avanti e indietro come se avessi avuto le ventose sotto le mani e gli scarponi.
Quando il canalino diventa davvero verticale torno a scendere a quattro zampe. Poi viene la parete di roccia ma lì sono ancora a mio agio anche in discesa e credo di essere perfino riuscito a stupire Ernesto. Sulla roccia mi difendo bene.
Alla grotta Pagani ci fermiamo per mangiare: due panini a testa e tre mandarini spariscono nei rispettivi gargarozzi in un pugno di secondi, tanta è la fame. Il sole è uscito lento e maestoso e la temperatura sta salendo rapidamente. Sembra primavera inoltrata.
Al bivacco troviamo un gruppetto di alpinisti. Stanno aspettando l’elicottero del soccorso alpino per un escursionista che si è provocato accidentalmente la distorsione di un ginocchio. L’elicottero arriva come una gigantesca libellula, si posa agile sulla neve, imbarca l’infortunato e riparte in meno di due minuti.
Poi è solo fatica, nella neve alta quando scendiamo i costoni affondando a volte fin quasi all’inguine, e nel fango nel bosco, dove riesco anche a fare una sorta di capriola appena allento un attimo l’attenzione.
Alle quattro del pomeriggio siamo di nuovo all’automobile di Ernesto.
Ernesto fa anche il boscaiolo e pota le cime degli alberi, a 20 e più metri d’altezza. Assieme ad altre guide alpine ha anche lavorato per la demolizione di altissime ciminiere, dove gli alpinisti hanno sfoggiato il meglio del loro repertorio operando a 40 metri d’altezza nel vuoto. Altro che gli indiani d’America, famosi per le loro performance sulle travi degli scheletri d’acciaio dei grattacieli in costruzione.

Sulla Presolana con Ernesto…
- Ultima modifica: 2020-05-06T08:44:42+02:00
da Renato Andreoletti

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