Barbari o Ospiti?

Un fenomeno planetario come la pandemia di Covid 19 segnerà la storia dei nostri tempi. Non si tornerà come eravamo primi. Se saremo bravi e creativi, effettueremo un salto di qualità verso un mondo migliore, soprattutto nel turismo dove bisognerà rendere permanenti i comportamenti virtuosi che la pandemia ha imposto a miliardi di persone. Il futuro è di un turismo serio e responsabile che sappia gestire anziché subire i desideri di decine di milioni di persone che vogliono godersi la vita aiutandoli a trasformare i loro desideri in esperienze, emozioni, avventure nella sicurezza
Un fenomeno planetario come la pandemia di Covid 19 segnerà la storia dei nostri tempi. Non si tornerà come eravamo primi. Se saremo bravi e creativi, effettueremo un salto di qualità verso un mondo migliore, soprattutto nel turismo dove bisognerà rendere permanenti i comportamenti virtuosi che la pandemia ha imposto a miliardi di persone. Il futuro è di un turismo serio e responsabile che sappia gestire anziché subire i desideri di decine di milioni di persone che vogliono godersi la vita aiutandoli a trasformare i loro desideri in esperienze, emozioni, avventure nella sicurezza

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Con la fine della pandemia di Covid e la ripresa del fenomeno turistico torna di attualità il dibattito sull’impatto del turismo di massa su un Paese geologicamente fragile, urbanisticamente caotico, demograficamente affollato come l’Italia. L’Italia ha una superficie di 300.000 chilometri quadrati. È un trentunesimo di quella della Cina per compararla con uno dei nostri maggiori competitori nel settore turistico a livello mondiale. Il tutto con una popolazione di 60 milioni di abitanti contro 1,4 miliardi della Cina (21 volte la popolazione italiana). In Europa, un altro grande competitor, la Francia, ha una superficie di 540.000 chilometri quadrati (675.000 con le terre d’oltremare) con 68 milioni di abitanti complessivamente. La densità della popolazione in Italia è di 196.7 abitanti per chilometri quadrato, in Francia è di 101 abitanti per chilometro quadrato, in Spagna è di 94 abitanti per chilometro quadrato. In Cina è di 153 abitanti per chilometro quadrato. In Italia siamo davvero in tanti…
La pianura in Italia non supera l’8 per cento dell’intero territorio nazionale (è i due terzi della superficie in Francia) con un arco alpino di 1200 chilometri di lunghezza (largo 200 chilometri) da Ventimiglia a Trieste e una dorsale appenninica di 1350 chilometri dalla Liguria alla Calabria cui vanno aggiunti altri 100 chilometri in Sicilia. La Sardegna infine presenta per l’80 per cento del territorio colline e montagne. Su questa superficie fortemente ondulata ogni anno si registrano circa 95 milioni di arrivi pari a 430 milioni di pernottamenti che si distribuiscono su un arco alpino che raggiunge e supera i 4000 metri con i più importanti massicci montuosi tra Piemonte, Valle d’Aosta e Lombardia, con i pinnacoli dolomitici iscritti nel Patrimonio dell’Umanità Unesco che caratterizzano l’arco alpino tra Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Trentino e Sud Tirolo, con 8300 chilometri di coste, la gran parte balneabili, con 800 isole di cui un’ottantina abitate, con 20.000 tra città d’arte e borghi storici (la più alta densità al mondo). Dal punto di vista economico e sociale, il turismo in Italia è diventato un fenomeno che ha trasformato letteralmente il territorio come il destino delle popolazioni che ci vivono. Nello stesso tempo, il turismo come fenomeno industriale (governato, certificato, organizzato) è in ritardo rispetto al settore manifatturiero che si è sviluppato in maniera significativa a partire dalla fine della seconda guerra mondiale e ha trasformato l’Italia in un Paese moderno, industriale, con istruzione e sanità gratuite e universali, con aspettative di vita che ci hanno proiettato al secondo posto sul pianeta (dopo il Giappone) per la longevità dei nostri concittadini, che ha trasformato un Paese storicamente povero, agricolo (nel 1945 il 60 per cento degli italiani viveva nelle campagne), con elevati tassi di analfabetismo, con un forte retaggio medievale legato al latifondo e alla mezzadria, con una migrazione di massa verso l’Europa e le Americhe che tra il 1880 e il 1914 ha riguardato almeno 29 milioni di persone, con altri 5 milioni di italiani che tra il 1950 e il 1970 si sono trasferiti nel Settentrione del paese in fase di industrializzazione. Siamo diventati perfino un Paese di immigrazione: secondo i dati del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali il 30 aprile 2021 gli stranieri in Italia ammontavano a 3.615.000 pari al 6% della popolazione residente.

L’industria in Italia
Il settore industriale ha conosciuto una prima fase arrembante tra gli anni Cinquanta e Ottanta del 1900, nella quale ha stravolto il territorio ogni volta che l’industria si trovava davanti a un ostacolo, che fossero una montagna o una collina, da perforare come un gruviera, o un fiume o una gola da attraversare edificando migliaia di ponti in cemento armato che hanno affiancato i non meno innumerevoli tralicci dell’energia elettrica nel ridisegnare il panorama naturale del nostro Paese. Le raffinerie dei prodotti del petrolio, importato soprattutto dal Nord Africa e dal Medio Oriente, le condutture del gas, importato anch’esso soprattutto dal Nord Africa (Algeria), hanno ridisegnato molte coste, i capannoni industriali hanno occupato e sostituito sempre più territori agricoli, gli scarti industriali hanno inquinato le falde acquifere, l’amianto, utilizzato massicciamente nelle coperture di capannoni ed edifici per il suo potere altamente isolante, si è rivelato un tragico boomerang perché a lungo andare, polverizzandosi e disperdendosi nell’aria, provoca il cancro in chi lo ispira. Il progresso industriale da un lato ha elevato la qualità della vita della nostra popolazione, eliminando piaghe antiche dalla miseria alle malattie, nello stesso tempo ha modificato lo stile di vita dei nostri connazionali affollandoli sempre più nelle città e nelle metropoli (con relativo spopolamento di colline e montagne) con un impatto sempre più pesante sull’inquinamento dell’aria, del suolo e del sottosuolo cementificando infine una percentuale sempre più elevata del territorio nazionale (che ha raggiunto il 10 per cento in regioni come Lombardia e Veneto) ma anche in Campania, Puglia, Emilia Romagna, Lazio, Piemonte, Sicilia e Liguria dove il consumo di suolo si aggira tra il 7 e il 10 per cento del territorio regionale.
Dopo la fase del consumismo di massa, dove la produzione non conosceva quasi regole, a partire dai Paesi più industrializzati si sono affermate normative e comportamenti sempre più responsabili. E’ cresciuta la sensibilità ambientale dei consumatori, le leggi hanno affermato il diritto alla salute e alla sicurezza della popolazione estendendolo sia ai processi produttivi che alla qualità dei prodotti realizzati. Le aziende sono state investite dell’onere di abbattere i consumi di energia fossile utilizzata, di dimostrare la sicurezza attiva e passiva dei prodotti messi in vendita, di progettare, realizzare e distribuire prodotti, servizi e tecnologie sempre più ecocompatibili quanto sicuri e affidabili per gli utilizzatori. L’industria del Terzo millennio anche in Italia è diventata sempre più ecocompatibile dal punto di vista ambientale e socialmente responsabile. Le industrie maggiormente inquinanti che non sono riuscite ad abbattere il tasso di inquinamento sono state delocalizzate in Paesi esteri dove le normative locali e la protezione dei cittadini e delle maestranze sono meno restrittive delle nostre.
L’industria italiana, anche per potersi inserire nelle reti industriali e commerciali internazionali, ha assunto progressivamente norme e comportamenti legati all’efficienza, alla responsabilità ambientale, alla sicurezza sia del lavoro che dei manufatti prodotti, tutti certificati secondo standard di prestazioni sempre più elevate (gli standard imposti dalla normativa ISO oltre che dall’Unione Europea). Basti pensare a ciò che è accaduto nell’industria dell’automobile. Un tempo le fabbriche del settore assomigliavano ad antri dell’inferno, con le disumanizzanti quanto pericolose catene di montaggio e orari di lavoro che raggiungevano anche le 12 ore al giorno, con i reparti di verniciatura con elevato rischio per la salute di chi ci lavorava, con l’inquinamento del suolo causa gli scarti delle lavorazioni smaltiti senza controlli. Le automobili erano altamente inquinanti, poco affidabili dal punto di vista tecnico, pericolose in caso di incidente: non esistevano cinture di sicurezza, airbag, scocche elastiche per le carrozzerie, l’asfalto delle strade era scivoloso e non drenava la pioggia, le strade statali erano a costante rischio di frane e buche. C’erano perfino autostrade con la corsia centrale destinata al sorpasso, senza alcuna barriera nei due sensi. Erano chiamate autostrade della morte come la tratta Torino-Milano, una delle più vecchie autostrade italiane. I lavori furono iniziati dalla Società anonima autostrada Torino-Milano nell’aprile del 1930 e terminarono con l’inaugurazione il 25 ottobre 1932, sotto forma di autostrada a singola carreggiata di 8 metri di larghezza, con una corsia per senso di marcia. Nel 1952 la carreggiata fu allargata a 10 metri, e a fine anni Cinquanta si mise in cantiere il completo raddoppio; la seconda carreggiata aprì completamente al traffico nel 1962, con due corsie per senso di marcia. Alla fine di quel decennio, fu abolita la corsia di emergenza in modo da realizzare una terza corsia, riducendo però la larghezza delle corsie rispetto alla norma. Il risultato fu un’autostrada estremamente pericolosa, specie nei frequenti giorni di nebbia. Con l’allargamento delle corsie di marcia e l’introduzione della corsia di emergenza nei tratti ancora dotati di piazzole di sosta a intermittenza, il tratto tra Torino e Novara è stato completato nel 2013, nel 2017 quello tra Novara e Milano.
Tra il 1956 e il 1964 in Italia fu costruita l’Autostrada del Sole, di 755 chilometri, con 113 ponti e viadotti, 572 cavalcavia, 38 gallerie, 57 raccordi, alla media di 94 km di strada realizzati all’anno. Fu un record mondiale. E’ del 1970 l’obbligo dell’assicurazione su tutte le autovetture. E del 1988 l’introduzione dell’obbligo delle cinture di sicurezza.
Il traffico motorizzato è cresciuto da 340.000 automobili nel 1950 a 9 milioni nel 1964 a 40 milioni nel 2019. Le autostrade si sono moltiplicate, hanno costruito la terza e perfino la quarta corsia (tra Milano e Bergamo, tra Modena e Bologna), i jersey (barriere in cemento armato poste come spartitraffico) rendono pressoché impossibile lo scontro frontale sulle autostrade, causa prima degli incidenti mortali in precedenza, l’introduzione di sistemi di controllo televisivi (tutor e autovelox) ha obbligato gli automobilisti a una guida più prudente, favorita anche dall’introduzione di sistemi automatici di controllo della velocità nelle automobili (gli speed control). Il traffico è diventato sempre più di massa e nello stesso tempo la massa degli automobilisti è diventata sempre più informata, attenta e responsabile. Nel 2019 gli incidenti stradali in Italia sono stati 172.183 con 3173 vittime, di questi 1411 sono stati gli automobilisti deceduti a causa di un incidente stradale. Sulle autostrade i morti sono stati solo 310 (il 5,3%). Sono stati 1331 i morti sulle strade urbane, 1532 sulle strade extraurbane. Gli automobilisti rappresentano il 44,5% delle vittime, il 24,8% sono motociclisti, il 16,8% pedoni, l’8 per cento ciclisti. I morti sulle strade furono 11.078 nel 1972, sono stati 3173 nel 2019 con un traffico motorizzato che nel frattempo era perlomeno triplicato. Quando si parla di industria oggigiorno è agli standard legati alla sicurezza attiva e passiva che si allude, e al loro rispetto rigoroso, oltre all’impatto sull’ambiente e alla responsabilità sociale che l’attività industriale deve garantire.

Il turismo come industria
Il turismo in Italia è diventato industria nelle sue dimensioni ma non ancora negli standard, nei comportamenti, nell’istruzione, perfino nella percezione collettiva sia da parte dell’opinione pubblica che di chi vi lavora.
L’industria, come insegna il settore manifatturiero, è scienza e conoscenza, è responsabilità individuale e collettiva, è standard rispettati e leggi efficaci, è controlli rigorosi e sanzioni certe ma è anche peso politico nei confronti sia dell’opinione pubblica che di Governo e Parlamento. Tutto ciò nel turismo in Italia deve ancora affermarsi come mentalità diffusa oltre che come standard certificati per non parlare del peso politico: soltanto quest’anno è stato istituito il Ministero del Turismo con portafoglio, per la prima volta dal 1948.
Non si tratta quindi di contrapporre un turismo di massa invasivo a una popolazione esasperata dall’invasione dei nuovi barbari (che parlino dialetto, italiano o altre lingue) e un territorio fragile per definizione che rischia letteralmente di sprofondare sotto il peso immane di comportamenti incivili ma anche solo eccessivi nella quantità di chi pretende di condividere il bene turistico al di là dei limiti posti dalla fisica e dalla natura. Venezia ne è un esempio eclatante ma di certo non il solo. Il rischio del rigetto è assai concreto, da parte della popolazione residente che si ribella all’invasione dei turisti assumendo a sua volta comportamenti vandalici, dei Comuni che da un lato lucrano sul turismo attraverso la tassa di soggiorno e nello stesso tempo pretendono di imporre limiti ai flussi rischiando lo scontro fisico, dei flussi turistici più abbienti che potrebbero scegliere altre mete meno stressanti e stressate lasciando il loro posto alle orde degli invasori più incolti e meno abbienti. Sarebbe una sorta di suicidio programmato per un settore che non solo dà da vivere ad almeno due milioni di italiani (e alle loro famiglie) ma che partecipa alla creazione di almeno un quarto del PIL nazionale all’interno del brand Made in Italy che identifica lo stile di vita italiano, dalla moda al design, dallo sport alla cultura, dall’agroalimentare all’intrattenimento, e che soprattutto ha dimostrato di essere un settore in costante ascesa a fronte di un’economia nazionale in drammatica stagnazione da almeno vent’anni. I numeri parlano chiaro. Secondo i dati della Banca d’Italia relativi all’incoming, al fatturato prodotto dal turismo internazionale in Italia, il nostro Paese è passato dai 30 miliardi di euro del 2011 a 44,5 miliardi di euro nel 2019, con una crescita continua e costante che si è interrotta solo a causa della pandemia planetaria di Covid. Nel 2021 senza la pandemia avremmo registrato quota 50 miliardi di euro… E questo solo dall’incoming, che rappresenta circa il 40% del fatturato prodotto direttamente dal turismo in Italia cui va aggiunto l’indotto (dall’edilizia all’agroalimentare alla mobilità pubblica e privata alle forniture di prodotti, tecnologie e servizi, alla comunicazione) oltre all’effetto traino sulla gran parte dei settori economici in ascesa del nostro Paese. Nel mondo vendiamo lo stile di vita italiano, che mescola con incredibile fascino storia e archeologia, moda e cultura, sport e spettacolo, natura e patrimonio urbanistico, che attraverso l’enogastronomia veicola valori universali di benessere e salute come di convivialità ed empatia umana.
Saper accogliere una massa di turisti anziché un turismo di massa richiede capacità di governare i flussi, di selezionarli, di imporre comportamenti compatibili con usi e abitudini delle destinazioni ma anche di predisporre un’accessibilità totale ai luoghi (eliminando ogni forma di barriera fisica), eliminando l’attraversamento dei borghi, consentendo loro di dotarsi di centri pedonali all’insegna del migliore degli arredi urbani, al parcheggio di auto e pullman (interrato o di superficie) predisponendo agili sistemi di trasporto non inquinante tra i luoghi di sosta e le strutture ricettive, utilizzando la tecnologia esistente (attraverso gli smartphone per esempio di cui è dotato almeno il 98% di chi viaggia) per comunicare vie e orari alternativi ai momenti di picco, per orientare le scelte degli ospiti anche in tempo reale, per informare, elemento principe per ovviare agli inconvenienti e alle sorprese spiacevoli, per offrire alternative magari proponendo premi e pacchetti turistici concorrenziali e di favore per chi voglia scoprire angoli e mete meno conosciuti del nostro Paese. Esiste il progetto Smart Road che in Italia ha come prototipo la strada statale 51 Alemagna che raggiunge Cortina d’Ampezzo (una delle sedi delle Olimpiadi e Paraolimpiadi invernali del 2026). Il programma Smart Road di Anas è la prima in Italia a essere stata attrezzata con tecnologie che consentiranno lo scambio di informazioni infrastruttura-utenti e il dialogo fra gli utenti stessi. Nel dettaglio, la tratta tra il comune di Ponte nelle Alpi e il Passo Cimabanche, nel territorio bellunese appena oltre Cortina d’Ampezzo in direzione di Dobbiaco, nel Sud Tirolo, è stata dotata di 336 postazioni polifunzionali e di una control room nella casa cantoniera Bigontina a Cortina d’Ampezzo. Lo sviluppo della Smart Road sugli 80 km della statale 51, con l’installazione di “Road Site Unit” con tecnologia Cellular Vehicle to Everything, rappresenta la copertura su singola tratta più estesa in Europa. Il programma Smart Road è molto più ampio e riguarda altri importanti assi strategici del Paese per un investimento di un miliardo di euro. Il progetto Smart Road riguarda una tecnologia propedeutica allo sviluppo della Smart Mobility e ai futuri scenari di guida autonoma dei veicoli.
In una società moderna, affollata, interconnessa 24 ore al giorno, l’informazione tempestiva è il segreto per gestire flussi umani cospicui o per far conoscere mete alternative. L’Intelligenza Artificiale è alle porte e con prodotti come Alexa è in grado di consigliare e assistere 24 ore al giorno l’utente di qualsivoglia prodotto o servizio che intenda acquistare. Il turismo sarà il terreno ideale per sfruttare questo nuovo orizzonte tecnologico purché sia intelligente anche chi gestirà il fenomeno turistico, dai consorzi locali degli operatori privati alle proloco agli assessorati al turismo di Comuni, Province e Regioni oltre al Ministero del Turismo cui spetta il ruolo di regista nazionale del Made in Italy da proporre agli italiani oltre che al mondo.
Il turista non è una pecora da portare alla tosatura. E’ un essere umano dotato di capacità cognitive che va trattato come tale: informandolo, ascoltandone desideri, richieste ma anche le giuste proteste. Dandogli sempre risposte razionali e soluzioni efficaci. Essere problem solving per chi lavora nel turismo è una seconda pelle senza la quale è meglio non alzarsi dal letto il mattino. Il fatto è che troppo spesso è il territorio a non essere problem solving, sono le leggi irrazionali, le disposizioni autoritarie da parte delle autorità pubbliche (che troppo spesso dimenticano che la loro autorità si basa sul consenso popolare e sulla legittimazione democratica), la mancanza di coordinamento tra gli attori che interagiscono sulle strade piuttosto che nelle destinazioni. La segnaletica in Italia è vecchia e farraginosa, gestita da persone che sanno muoversi sul territorio a occhi chiusi e non si sono mai messi nei panni di chi su quel territorio ci arriva per la prima volta, magari sotto una pioggia torrenziale e in piena notte. Manca una visione d’insieme delle varie destinazioni e del territorio che le circonda per dotarlo delle infrastrutture necessarie per facilitarne l’accesso riducendo al minimo l’impatto ambientale che ciò comporta. Manca una cultura dello studio dei casi turistici più esemplari (in Italia non mancano) per riprodurli con il necessario adattamento.
C’è molto lavoro da fare e poco tempo per farlo. Ma questo è il nostro futuro e può essere il migliore dei futuri.

Barbari o Ospiti?
- Ultima modifica: 2021-05-30T18:13:49+02:00
da Renato Andreoletti

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