Che cosa significa fare catena alberghiera in Italia

A Rimini, durante Hospitality Day, Hotel Domani ha chiesto a due rappresentanti di catene alberghiere italiane problemi e opportunità nello sviluppare tale modello aziendale in un Paese fondamentalmente ostico per i brand internazionali ma anche per le catene alberghiere nazionali
Sofia Gioia Vedani e Damiano De Crescenzo
A Rimini, durante Hospitality Day, Hotel Domani ha chiesto a due rappresentanti di catene alberghiere italiane problemi e opportunità nello sviluppare tale modello aziendale in un Paese fondamentalmente ostico per i brand internazionali ma anche per le catene alberghiere nazionali

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Luca Boccato, terza generazione di albergatori, laura in Economia Politica all’Università Bocconi di Milano, è l’Amministratore Delegato di HNH Hospitality, www.hnh.it, gruppo alberghiero con 14 hotels in Italia, Damiano De Crescenzo, una solida carriera professionale in Italia e nel mondo, è il General Manager di Planetaria Hotels, www.planetariahotels.com, gruppo alberghiero con 10 hotels. HNH Hospitality gestisce alberghi multimarchio (Best Western, Crowne Plaza e Indigo by IHG, Double Tree by Hilton), Planetaria Hotels ha un solo albergo con un brand internazionale (Indigo), semmai preferisce marchi meno appariscenti come Relais & Chateaux e Worldhotels.

Renato Andreoletti. Ho iniziato a occuparmi dell’industria del turismo in Italia nella prima metà degli anni Ottanta, oltre 35 anni fa. All’epoca in Italia il 95 per cento degli alberghi erano indipendenti, di proprietà o gestiti da famiglia di albergatori. Si pensava che nei decenni successivi il settore si sarebbe omologato a Paesi come Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna dove le catene alberghiere gestiscono la gran parte degli alberghi, con quote che raggiungono anche il 70 per cento del totale e percentuali superiori nelle categorie dei 4 e 5 stelle. E’ quanto è accaduto in Spagna a partire dagli anni Ottanta dopo la fine del regime franchista. Le grandi famiglie di albergatori in Spagna gestiscono compagnie di centinaia di alberghi. E’ il caso dei Melia Hotels (350 alberghi), dei Barcelò (149 alberghi), di Eurostars Hotels (102 alberghi), di H10 Hotels (65 alberghi). La compagnia più importante era diventata NH Hoteles, che in Italia aveva acquisito anche Jolly Hotels. I 400 alberghi di NH Hotels sono stati acquisiti di recente da Minor Hotels, compagnia con sede in Tailandia, a Bangkok. Tutto l’opposto di quanto è accaduto in Italia dove ancora oggi, a oltre tre decenni di distanza, gli alberghi gestiti da albergatori indipendenti rappresentano il 95 per cento del totale. In Italia le catene alberghiere difficilmente raggiungono quota 50 alberghi (Gruppo Una ne ha 39, Starhotels 29, Blu Hotels 29, Sina Hotels 11). La più importante compagnia alberghiera presente in Italia dal punto di vista numerico è Best Western (190 alberghi tra affiliati e associati solo commercialmente) ma è un consorzio di albergatori indipendenti anche se fa capo a un brand internazionale. Siamo un Paese impermeabile alla concorrenza internazionale, almeno nel settore alberghiero. Qualcosa sta cambiando, se si analizzano destinazioni come Milano: nel 1990 a Milano c’era un solo marchio internazionale, Hilton, oggi è più facile dire quale marchio internazionale non è ancora atterrato ai piedi della Madonnina. Ma Milano è un unicum in Italia. Non fa tendenza.

Luca Boccato. La nostra esperienza nel settore alberghiero nasce dai miei genitori, che diventarono albergatori a Jesolo negli anni Sessanta. Fino al 2003 mi sono occupato d’altro. Quando sono entrato in azienda gestivamo due alberghi. Oggi sono 14 con 1800 camere. Nel 2017 nel nostro gruppo è entrato con un capitale di minoranza un fondo di private equity. Sono due gli elementi che ci devono caratterizzare per renderci efficienti e resilienti: le dimensioni, per poter attuare economie di scala, ed elevate competenze professionali. Il nostro è un settore a elevata intensità di capitale umano. Il costo del personale pesa almeno per il 30 per cento sui ricavi e oltre il 50 per cento sui costi. Solo crescendo anche come dimensioni facciamo la differenza. Crescere significa economie di scala, maggiore efficienza, l’assunzione dei talenti migliori. E’ dal 2006 che abbiamo deciso di affrontare un processo di crescita. Lo abbiamo fatto confrontandoci con il contesto italiano dove storicamente gli albergatori hanno sempre confuso due attività: gestire operativamente l’albergo e nello stesso tempo assumere il ruolo di investitori nel real estate quando sono proprietari dell’immobile alberghiero. E’ una tipica anomalia del mercato italiano. Altro aspetto, sottolineato anche da Andreoletti, è la scelta generalizzata di evitare di associarsi a un brand, nazionale o internazionale che sia. Questa all’opposto è stata la nostra scelta di base. Abbiamo scelto di non avere un nostro brand: HNH Hospitality non è un brand b2c, semmai è un brand b2b nei confronti degli operatori del settore. Abbiamo scelto inoltre di non crescere attraverso l’acquisizione di immobili. Il nostro sviluppo è avvenuto attraverso locazioni con varie tipologie di contratti e l’acquisizione di brand internazionali: Best Western, Hilton (Double Tree by Hilton), InterContinental (Crowne Plaza, Hotel Indigo).

Damiano De Crescenzo. Planetaria Hotels non è nata dall’idea di creare una compagnia alberghiera. I Vedani sono una famiglia di industriali lombardi che operano da quattro generazioni nel settore dell’alluminio. Una delle figlie, Sofia Gioia Vedani, si è laureata in architettura. A fine anni Novanta c’è stata l’occasione di trasformare una antica tipografia milanese dove si stampava tra l’altro la Settimana Enigmistica, fabbrica abbandonata da anni al degrado e ai rovi, in un moderno albergo con una forte vocazione congressuale, l’Hotel Enterprise, inaugurato nel marzo del 2002. Il successo di quell’esperienza è diventato il seme che ha fatto germogliare la compagnia alberghiera. Ho incrociato la mia carriera professionale con l’architetto Vedani dopo una serie di esperienze in Italia e nel mondo in compagnie internazionali. Con l’eccezione dell’ultimo hotel acquisito a Milano (l’Hotel Indigo) quel che ci caratterizza è che nessuno degli altri 9 alberghi innalza il vessillo di un brand internazionale. I nostri alberghi sono disomogenei. Non hanno standard comuni riconoscibili come è accaduto in passato per altre compagnie italiane come Jolly e Starhotels. Loro avevano una comune identità da trasmettere ovunque si trovassero. Per noi è l’opposto. Ognuno dei nostri alberghi esprime una forte individualità, legata innanzitutto alla location. Il nostro obiettivo è stato quello di rafforzare tali identità, non di omologarle. Il comune denominatore è legato agli standard professionali e alla qualità del servizio offerto. La mia esperienza professionale mi ha condotto alla convinzione che non sei competitivo se ti limiti a copiare le grandi catene alberghiere. Devi essere originale, unico, ovunque ti trovi. Devi scoprire i limiti del modello proposto dalle grandi catene alberghiere per

Luca Boccato, CEO di HNH Hospitality

Sofia Gioia Vedani e Damiano De Crescenzo

proporre ciò che non esiste. Questa è stata la nostra filosofia aziendale. Uno dei limiti delle grandi compagnie è la burocrazia interna che inevitabilmente cresce al crescere delle dimensioni. Aumentano i tempi per arrivare a decisioni legate al mutare delle situazioni contingenti e di mercato che imporrebbero una maggiore velocità sia di analisi che di scelte. Un esempio recente: prima del lockdown del marzo 2020 avevamo appena acquisito a Milano la gestione di un albergo che a sua volta aveva firmato un contratto di franchising con InterContinental (IHG) per avere il marchio Indigo. A causa della mutata situazione indotta dalla pandemia di Covid-19, nel nostro gruppo abbiamo mutato la Cancellation Policy portandola al giorno di arrivo, di fatto abolendola. L’unico albergo in cui non è stato possibile applicarla con immediatezza è stato proprio l’unico albergo del nostro gruppo in franchising. E’ un problema di tempi aziendali. Una catena reagisce con tempi assai più dilatati rispetto a una compagnia snella come la nostra. Per i nostri alberghi abbiamo introdotto questa nuova norma il 3 giugno, per l’Hotel Indigo ci siamo riusciti solo a fine settembre. I tempi di risposta, in una situazione di crisi come la nostra, sono decisivi.

Luca Boccato. Noi abbiamo scelto di specializzarci. Sono tre gli elementi principali nella gestione di un albergo, oggi come ai tempi di mio nonno: la gestione operativa di un albergo, la gestione dell’asset immobiliare, la gestione commerciale o del brand. La nostra scelta è stata quella di focalizzarci sul tema dell’operation. Non gestiamo la componente immobiliare. Per quanto riguarda l’aspetto commerciale, abbiamo diviso nettamente il nostro modello in due parti: gli alberghi di mare, che gestiamo e commercializziamo in modo indipendente sulla base di un modello upper upscale luxury legato a categorie alberghiere di 4 e 5 stelle. Per gli alberghi di città associamo le nostre strutture solo con contratti di franchising con catene alberghiere internazionali. Lavoriamo solo con tre brand: Best Western nel segmento mid upscale, InterContinental (IHG) nei segmenti upscale e upper upscale con i brand Crowne Plaza e Indigo e Hilton nel segmento upscale con il brand Double Tree. Nelle grandi città ciò ci ha consentito di affrontare al meglio un ambiente molto competitivo offrendo al mercato internazionale una garanzia di qualità legata all’immagine del brand. E’ anche un modo per rivolgerci all’enorme mercato potenziale rappresentato dai sistemi di rewarding delle grandi catene alberghiere internazionali da Hilton Honors di Hilton a IHG Rewards Club di IHG a Best Western Rewards. E’ diventato anche un forte elemento di disintermediazione. Il tasso di penetrazione delle Ota nei nostri fatturati è un problema per tutti gli alberghi, di catena o individuali. Nel 2019 per HNH Hospitality il peso delle Ota era inferiore al 25 per cento, molto al di sotto della media di mercato e di certo molto al di sotto della media che registrano gli alberghi indipendenti. Bisogna saper valorizzare tutti gli elementi che aiutano a fidelizzare gli ospiti e disintermediare le prenotazioni. Nei nostri fatturati ogni punto in percentuale in meno relativo alla disintermediazione significa più punti in percentuale di EBITDA, il margine operativo lordo.

Damiano De Crescenzo. Noi ci siamo focalizzati sulla creatività e sull’unicità legate alla location: è quanto abbiamo fatto a Milano come a Genova e a Firenze. E’ il caso della prima sala convegni immersiva in un albergo in Italia nell’Hotel Enterprise di Milano. Abbiamo un centro congressi connotato da spazi molto elevati per via della funzione che svolgevano un tempo quando ospitavano delle imponenti rotative di stampa. Una sala, di oltre 400 metri quadrati, aveva il limite di alcune colonne centrali che ne limitavano l’uso. Le abbiamo tagliate, con un’operazione di alta ingegneria collocando una enorme trave centrale in acciaio che regge l’intera struttura, quindi abbiamo dedicato la nuova sala a un prodotto tecnologico davvero unico. Grazie a una serie di proiettori posti al centro della sala, è possibile proiettare a tutta altezza immagini e filmati a 360 gradi. Chi si trova al centro della sala, vive un’esperienza immersiva davvero unica quanto originale. La libertà da vincoli come dai brand per noi è un elemento di forza. Abbiamo scelto semmai soft brand come i Relais & Chateaux, per lo Chateau Monfort a Milano, il Worldhotels per il Grand Hotel Savoia di Genova. Ogni albergo deve essere libero di scegliere la strada migliore sulla base delle sue esigenze e della location in cui si trova. Non abbiamo un’organizzazione interna strutturata anche qui per scelta. Abbiamo scelto semmai di responsabilizzare maggiormente chi si trova in loco a partire dalla front line rappresentata per esempio dal portiere di notte. Ci impegniamo soprattutto nella formazione interna, per creare e condividere valori comuni. Siamo più elastici nella gestione del giorno per giorno. Il nostro modello si basa sull’unicità di ciò che proponiamo non solo tra un territorio e l’altro ma anche all’interno delle stesse destinazioni.

Luca Boccato. In Italia i brand nazionali e internazionali pesano per il 5 per cento delle strutture alberghiere e il 12 per cento del numero di camere offerte. Ciò significa che gli alberghi di catena sono mediamente più grandi. Il mercato alberghiero italiano è molto appetibile, nei prossimi anni lo diventerà ancora di più. Ci aspettiamo un robusto flusso di capitali stranieri in Italia. E’ anche la conseguenza della crescita del sistema turistico italiano registrata soprattutto negli ultimi 10 anni. E’ una realtà che passata la pandemia è destinata a riprendere con forza. In questo contesto sono convinto che essere piccoli non è bello. Aumenterà la concorrenza a partire dalle grandi e medie città. Diventare prima cluster e poi catena significa crescere professionalmente. E’ un passaggio obbligato per sopravvivere. Il brand può rappresentare un solido aiuto purché sia coniugato con i fondamenti della nostra professione: accogliere e ospitare all’insegna dell’empatia umana e dell’efficienza professionale per conseguire la soddisfazione dell’ospite, vale a dire la qualità percepita, che rappresenta sia la mission che la dimostrazione della nostra eccellenza. Non dimentichiamo mai che il confronto con un brand internazionale porta anche ad assorbire un know how assai utile per poterci confrontare con chi fa ospitalità su scala planetaria.

Damiano De Crescenzo. La mia formazione professionale è avvenuta all’interno di catene alberghiere nazionali e internazionali. Ogni giorno si fa formazione e si impara qualcosa. E’ indubbio che una catena significa confronto ma anche lo stimolo per uscire dagli schemi ed essere più originale come è stato nel caso della Sala conferenze immersiva all’Hotel Enterprise. Essere i primi significa assumersi il rischio ma anche godere del vantaggio competitivo di essere unici almeno finché non ti copiano. Conta la capacità di studiare e progettare, c’è anche una componente imponderabile, quella che chiamo fattore c. Durante Expo Milano nel padiglione Zero fu proiettato qualcosa di simile, ambientato in un campo di grano. Da lì è nata l’idea. C’è voluto un investitore lungimirante, la famiglia Vedani e Planetaria Hotels, un investimento finanziario cospicuo, e un partner tecnologico all’altezza della sfida. Il successo è stato travolgente. Abbiamo ospitato eventi legati al lusso che non avevamo mai approcciato prima. Abbiamo conquistato quote di mercato impensabili in precedenza. Sono state le aziende a sceglierci per organizzare i loro eventi da noi all’insegna dell’effetto wow. E’ stata l’esperienza immersiva il fattore trainante.

Che cosa significa fare catena alberghiera in Italia
- Ultima modifica: 2020-11-04T14:56:04+01:00
da Renato Andreoletti

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