Tra Etica e Utopia

La specie più vincente della storia del pianeta Terra sembra sull’orlo di una crisi di nervi di fronte alle sfide rappresentate dall’aumento demografico e dei cambiamenti climatici. Per comprenderlo, facciamo un passo indietro… e anche due
L'Uomo vitruviano conservato a Venezia
La specie più vincente della storia del pianeta Terra sembra sull’orlo di una crisi di nervi di fronte alle sfide rappresentate dall’aumento demografico e dei cambiamenti climatici. Per comprenderlo, facciamo un passo indietro… e anche due

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L'Uomo vitruviano conservato a VeneziaIl tedesco Immanuel Kant (1724-1804) è stato uno dei più grandi filosofi della storia dell’umanità, attraverso la logica e l’intuizione ha dimostrato per esempio che l’essere umano percepisce la realtà in maniera tridimensionale come necessità, sulla base di facoltà che preesistono alla sua nascita e che sono indipendenti, perché preesistenti (apodittiche), rispetto alla nostra capacità di ragionare. Idem per la percezione dei colori, dei suoni, degli odori.

L’austriaco Konrad Lorenz (1903-1989) ha dato vita a un ramo della scienza naturale chiamato etologia, lo studio del comportamento animale e attraverso di esso lo studio del comportamento umano eliminando i filtri che la cultura ha sempre posto allo studio degli istinti che muovono l’agire razionale e irrazionale dell’essere umano. Anche qui, attraverso lo studio degli animali, si è giunti a percepire gli istinti fondamentali che muovono l’agire degli esseri umani, esseri umani assai complessi che grazie alla facoltà di comunicare con la parola si sono resi autonomi, o presumono di averlo fatto, rispetto alla natura da cui proveniamo e di cui continuiamo a fare parte.

Di che si tratta, in definitiva? Del fatto che gli esseri umani, nella forma dell’Homo Sapiens che si è differenziata tra 300.000 e 200.000 anni fa, hanno acquisito un’intelligenza cognitiva che consente loro di formare metafore, organizzare pensieri, vale a dire immagini astratte attraverso le quali rappresentano la realtà che li circonda. Sono gli unici a possedere questa facoltà in maniera così sofisticata al punto da declinarla attraverso l’arte, la scienza, la musica, la comunicazione più in generale.
L’Homo Sapiens condivide con tutti gli esseri viventi le grandi pulsioni della sopravvivenza e della procreazione, scritte nel dna di tutte le specie viventi, ma declinate in maniera originale: è un animale sociale, che trova forza e rassicurazione nel gruppo, è un animale individuale, che deve esprimere la sua individualità all’interno o contro il gruppo.

L’Homo Sapiens al di fuori del gruppo sopravvive a stento, la sua individualità si nutre del confronto con i suoi simili. In tutte le società umane, la peggior condanna è stata il bando, l’espulsione dal gruppo di appartenenza. Non a caso, anche i ribelli, che si danno al vagabondaggio piuttosto che al romitaggio, lo fanno entro un raggio d’azione che gli consenta di comunicare ai loro simili il loro disagio o la loro ribellione.
Nello stesso tempo, tutte le società umane hanno elaborato riti di iniziazione che consentissero ai giovani di passare da uno stato gerarchico all’altro, dall’infanzia all’adolescenza e da questa all’età adulta. Per il maschio erano riti legati principalmente al suo ruolo di guerriero, per le femmine al loro destino di madri. I maschi dovevano imparare a soffrire e ad ammazzare, dimostrando la capacità di difendere il gruppo e la loro famiglia, le femmine a sopportare il dolore del parto e a mantenere coesa la famiglia proteggendo innanzitutto i figli.

L’intera storia dell’umanità si muove all’interno di questi parametri: la capacità del gruppo di consolidarsi al suo interno e di allargarsi diventando sempre più forte e coeso, il bisogno insopprimibile di libertà individuale da parte del singolo che si pone l’obiettivo di scalare le gerarchie del gruppo diventandone capo o si ribella al gruppo con il fine di rivoluzionare le gerarchie esistenti.
Ideologie e religioni sono da sempre focalizzate su questi due versanti dell’agire umano: fare gruppo, aumentandone la forza nel tempo, stabilire gerarchie che ogni tanto vengono ribaltate dall’interno o dall’esterno. Tutto ciò è stato declinato a seconda dei tempi, dei luoghi, del divenire delle società umane. L’essere umano si muove tra tradizione e rivoluzione. E’ la sua condanna e nello stesso tempo la sua originalità

Il paradosso dei nostri tempi, che alle spalle hanno cent’anni di guerre tra le più spaventose mai avvenute sul pianeta e un progresso tecnologico altrettanto incredibile, è di aver creato le condizioni di un successo mai visto – la proliferazione della specie umana che ha raggiunto i 7,5 miliardi di esseri umani con una durata della vita media non meno clamorosa rispetto anche a pochi decenni fa – e nello stesso tempo di vivere una sorta di psicosi collettiva che ricorda per certi versi l’aspettativa della fine del mondo e il Giudizio Universale a cavallo dell’Anno Mille che si è ripetuta più volte di fronte per esempio a grandi pandemie come la peste del 1347 (che causò la morte di un terzo degli europei con tassi di mortalità che raggiunsero il 50% in molte città italiane). Oggi l’aspettativa della fine del mondo riguarda i cambiamenti climatici e la demografia, entrambi fenomeni che paiono incontrollabili con conseguenze esiziali per la vita sul pianeta.

La specie umana 70.000 anni fa era sull’orlo dell’estinzione, ridotta a poche centinaia di individui concentrati esclusivamente in Africa, mentre altre specie umane, come i Neanderthal, sembravano in netta posizione di vantaggio. Il più antico abitante dell’Europa per esempio è stato un Neanderthal vissuto nella Valle dell’Aniene, vicino a Roma, 250.000 anni fa, 220.000 anni prima che l’Homo Sapiens giungesse in Europa. Il Neanderthal era dotato di capacità cognitive: seppelliva i morti con riti funerari, dipingeva nelle caverne almeno 65.000 anni fa (in Spagna a Cueva del los Aviones), cacciava in gruppo, controllava il fuoco.
Abbiamo lasciato l’Africa tra i 60.000 e i 70.000 anni fa, abbiamo impiegato altri 30.000 anni per raggiungere l’Europa, idem per superare lo stretto di Bering e inoltrarci nelle Americhe. Ma è solo 10.000 anni fa che abbiamo inventato l’agricoltura (in contemporanea nel Medio Oriente, in Nuova Guinea, in Cina, nel Messico precolombiano), il passo fondamentale nella storia del progresso dell’Homo Sapiens, ciò che gli ha consentito di diventare la specie dominante del pianeta e perfino di puntare a diffondersi nello spazio. Mi sono chiesto e continuo a farlo perché ciò è avvenuto solo 10.000 anni fa, alla fine dell’ultima glaciazione, e non prima, nell’intervallo di precedenti glaciazioni. In fin dei conti, dal punto di vista cognitivo, eravamo già moderni. Perché non è accaduto? Possibile che non fossimo stati capaci di addomesticare i grandi mammiferi, altro passo fondamentale per dar vita a società complesse?

Comunque sia andata, quel che è certo è che l’umanità contemporanea si trova ad affrontare incredibili sfide di fronte alle quali sembra confusa, indecisa, incerta. L’economia è diventata globale, così pure la possibilità di accedere alle cure sanitarie (soprattutto agli antibiotici), all’istruzione, alla tecnologia più sofisticata, al cibo. Le multinazionali sembrano essersi emancipate da ogni forma di controllo che non sia legata alla produzione di profitto per i propri azionisti, gli Stati continenti sembrano simili alle zolle continentali che quando entrano in collisione producono eruzioni vulcaniche, terremoti, maremoti, l’innalzamento di catene alpine, la nascita o la morte di nuovi mari e oceani. Il singolo individuo gode di uno stile di vita che non è paragonabile a quello dei monarchi del passato (che al confronto sembrano dei miserabili) eppure la sua insoddisfazione è sempre più montante e sta diventando una sorta di maremoto permanente sia nelle società più avanzate, che si sono dotate di sistemi politici democratici su base rappresentativa, che nelle società più arretrate dove dittature e Stati autoritari non sembrano meno fragili di fronte al caos o presunto tale che avanza.

E’ il paradosso dei nostri tempi: un’economia vincente che è percepita come una sorta di matrigna che toglie ai molti per dare ai pochi (anche se è vero il contrario sulla base delle statistiche ma anche solo del buonsenso), una politica condotta da avventurieri con poca arte e molta demagogia effetto e non causa del caos imperante, problemi planetari sempre più incombenti di fronte ai quali non esiste alcun governo possibile visto il disgregarsi dei sistemi politici esistenti. Lo scenario è complesso, forse è anche drammatico. L’ottimismo della volontà serve assai poco, serve di più un approccio positivo e pragmatico ai problemi che eviti l’isteria e la nevrosi. Se riusciremo a governare i fenomeni, ce la caveremo, altrimenti sarà il disastro. Non sarebbe la prima volta nel cosmo e di certo non la prima volta sul pianeta Terra. Ci sono state altre estinzioni di massa, ci sono stati pianeti come Marte che hanno perso acqua e atmosfera, e senza alcun intervento umano.
C’è da sperare che emerga un nuovo atteggiamento creativo e solidale, cosmopolita e universalistico, che superi le faglie politiche e culturali esistenti nella consapevolezza che non saranno in pochi a salvarsi, come all’epoca di Noè, ma che o ci salveremo tutti o tutti ci estingueremo. Nello stesso tempo l’individuo va rassicurato salvaguardando i confini della sua cultura, della sua lingua, delle sue tradizioni, consentendogli di entrare in rapporto con le altre culture, le altre lingue, le altre tradizioni all’insegna di una biodiversità che è non solo l’alternativa a una globalizzazione alienante ma anche lo strumento principe per arricchire l’esperienza dei singoli come della collettività. I nazionalismi si sconfiggono con il rispetto delle culture locali, la globalizzazione la si governa ripensando le regole del commercio mondiale che devono aiutare i Paesi emergenti ad ammodernarsi senza impoverire quelli più avanzati. Utopia? Forse. Ma la vita è utopia allo stato puro.

Tra Etica e Utopia
- Ultima modifica: 2019-02-20T08:19:19+01:00
da Renato Andreoletti

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